Relitto Savoia Marchetti S.79 ritrovato nel deserto

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  1. <geniv>
     
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    Si può essere perduti ma non dimenticati

    Lo Sparviero perduto.

    21 aprile 1941: Campo di K1 Berka, Cirenaica. L’ SM.79 Sparviero MM.23881 della 278a Squadriglia Autonoma Aerosiluranti sta per decollare, sono le 17,25, lo pilota il capitano Oscar Cimolini, è in ritardo rispetto al collega Robone che lo ha preceduto, un inconveniente ai motori lo ha attardato, la destinazione è a sud di Creta dove la nostra ricognizione marittima ha avvistato un convoglio.

    Il tempo non favorisce l’azione, c’è un fortissimo vento da nord-ovest e la visibilità è scarsa per un densa foschia e per una nuvolosità diffusa. Il Ten. Robone avvista il convoglio e attacca (il bollettino di guerra n. 322 del 23 aprile 1941 gli attribuisce l’affondamento di un piroscafo di 8000 t.) , dopo aver sganciato il siluro ed effettuato il disimpegno dal nutrito fuoco di contraerea di cui era fatto oggetto riferisce nel suo rapporto di aver visto vampe di cannoni e traccianti che solcavano l’orizzonte in direzione del convoglio. Anche Cimolini era arrivato sull’obiettivo.

    L’MM.23881 non rientrerà alla base.

    Scattano le ricerche nel tratto di mare interessato ma il capitano Oscar Cimolini e il suo equipaggio, composto dal Tenente di Vascello osservatore Franco Franchi, dal maresciallo pilota Cesare Barro, dal sergente maggiore marconista Amorino De Luca, dal primo aviere motorista Quintilio Jozzelli, e dal primo aviere armiere Gianni Romanini, non vengono ritrovati.

    21 luglio 1960: Libia. Il geologo Gianluca Desio, figlio del noto esploratore Ardito Desio, il topografo Eugenio Vacirca e la guida zuela Amed Rahil, dipendenti della CORI (Agip) nell’ambito di rilievi per ricerche petrolifere, lungo la carovaniera e pista militare che congiunge l’oasi di Gialo a quella di Giarabub, teatro di eroiche gesta dei nostri soldati, rinvengono ai piedi di una duna in pieno erg, la salma semisepolta di un aviatore italiano.

    “Il corpo, ridotto a uno scheletro e con quanto restava della tuta di volo, giaceva supino, senza documenti, con addosso o vicino, un binocolo militare, due orologi, una pistola Very con almeno un colpo esploso, una borraccia di alluminio da mezzo litro vuota, una bussola da aereo funzionante, un casco di pelle, un cacciavite, alcuni frammenti di giornali italiani e tedeschi, un mazzo di chiavi e una chiave della portiera dell’aereo col numero di matricola “S-79-MF 23881, cert. 263, data di collaudo…”

    Interpellata prontamente l’Aeronautica Militare tramite il consolato, comunicata la matricola giunge una sorprendente risposta: i dati corrispondono ad un aereo scomparso a sud di Creta a circa 500 km di distanza. 5 ottobre 1960: un’altra squadra della Fondazione Lerici, che sta svolgendo un rilievo geofisico per conto della CORI, trova a sud-est di Gialo, a circa novanta chilometri a sud del punto nel quale il 21 luglio erano stati rinvenuti i resti dell’aviatore, il relitto di un trimotore SM.79.

    Per quanto l’aereo fosse rimasto nel deserto per circa vent’anni, era stato protetto dalla sabbia che lo ricopriva parzialmente e sulla sua fusoliera era ancora chiaramente visibile il numero 278 che stabiliva senza alcuna possibilità di dubbio la sua appartenenza alla 278a squadriglia. Si trovano sul posto le ossa di due morti fuori dall’aereo e probabilmente di uno all’interno. 7 aprile 1961: un nuovo elemento, questa volta definitivo, va ad aggiungersi a quelli già noti e a completare il mosaico della misteriosa e drammatica vicenda. In quella data, infatti, il console d’Italia comunicò a Roma che, nel procedere alla tumulazione della salma recuperata a sud della pista di Gialo, nella tasca interna del giubbotto di volo era stato rinvenuto un piastrino di riconoscimento recante inciso il nome di Romanini Giovanni, completato dalle generalità e dall’indicazione del distretto militare di origine.

    Ma come era potuto arrivare lì lo Sparviero che partito per una missione che doveva svolgersi a sud di Creta, ben quattrocentonovanta chilometri di distanza dalla base di Bengasi da dove era partito e dove avrebbe dovuto rientrare e a cinquecentonovanta chilometri dal convoglio che doveva attaccare?

    Per non dimenticare i nostri aviatori perduti e ricordare l’eroismo di Gianni Romanini che compì un’impresa al limite dell’impossibile, percorrendo e sprofondando nell’ insidiosa sabbia caratteristica del luogo, in uno dei più caldi deserti del mondo, molto oltre dei 90 km in linea d’aria che separavano il suo aereo dal luogo del ritrovamento del suo corpo, cosa che risulterebbe quasi impossibile perfino per i nostri odierni super allenati atleti partecipanti alle moderne “Marathon des Sables”, è in uscita il libro che ripercorre in maniera dettagliata l’intera vicenda.
     
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2 replies since 26/5/2008, 09:35   2148 views
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