Di un inizio e di una fine

Racconti erotoci di vita reale

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    Tra qualche mese avrò trent'anni. Trent'anni: tren-ta-an-ni. Sono praticamente un uomo di mezza età. Un uomo, di certo. Non sono più un ragazzo, comunque la si voglia vedere. Prendo il bus tutte le mattine per andare al lavoro. Guadagno il pane, dopo la laurea. Mia moglie fa lo stesso, in un'altra città. Abbiamo finito la salita: raggiunto l'altipiano infinito sul quale la vista spazia fino alla vecchiaia, con andamento pianeggiante, salvo lievi salite o buche da evitare. Rassegnazione o soddisfazione. Le due parole sembrano sinonimi, in un certo uso possibile, sempre più in auge tra le persone che frequento.
    Soddisfazione per i risultati raggiunti: fine degli studi, con voti brillanti. Posto di lavoro a tempo indeterminato.
    Matrimonio con la donna perfetta, che amo: indubbiamente, amo. E poi un bel fisico; un bel viso; viaggi fatti e da fare; passione per lo sport; una casa già pagata in cui vivere.
    Il resto dei miei giorni. Tutte ragioni per essere soddisfatto. Tutti motivi per essere rassegnato, per chi come me non sa darsi pace, non sa mai accontentarsi di ciò che ha.
    Il destino pare tracciato lungo una strada spianata. Salvo malattie o sventure, potrei arrivare alla tomba senza deviare da questa via "luminosissima", quasi accecante, per il vero.
    Un futuro di figli, viaggi, carriera. Avventure sportive. Risultati: insensati risultati conquistati dentro la cornice di un quadro che tanto pare la gabbia di una prigione. Mi sento così: condannato ad un futuro predeterminato, identico a quello di tutti. Di tutte le persone di una middle class fortunata, ma non abbastanza; sventurata, ma non troppo.
    Non crescerò più, da ora in avanti: sono già cresciuto. Ora, invecchierò. Userò i mattoncini che ho ottenuto finora, per costruire e realizzare. Ma il pavimento su cui potrò muovermi per questo gioco è quello della "stanza" di cui vedo le pareti. Le avverto, soffocarmi; quasi premere sulla dimensione del mio ego che non accetta e non si accontenta di conoscere ciò che è prevedibile.
    Sono un insoddisfatto, una persona problematica. Sono un avventuriero, forse: una persona inquieta, se voglio usare termini positivi. Un perenne malinconico, in un certo modo anche sfortunato, se voglio essere più realista.
    Non vivrò mai in pace, se non "metto la testa a posto", ma il fatto proprio è che il "posto" in cui devo metterla, è ciò che non mi sta bene.
    Vorrei, sentirmi appagato e privo di appetiti, ma non ci riesco, anche sforzandomi. Per cui, ho due lotte, da condurre: insieme, in parallelo. La prima, per trovare un equilibrio che mi sfugge, in questa esistenza che - tutto sommato - ho costruito, scelto, accettato, io stesso. La seconda, per cercare una strada alternativa. E così, mi chiedo, posso condurre entrambe le ricerche nella stessa esistenza? O finirò col vivere due vite separate ... una vita segreta, una vita alla luce?

    4 marzo 2008

    Non è bella come la ragazza che sogno di scopare ormai da anni, che perseguita le mie fantasie, monopolizzando ogni mio sogno erotico. Ma le assomiglia, appartiene allo stesso tipo. Capelli neri, lunghi, leggermente mossi. Occhi neri, scuri. Questi, i presupposti di base affinché il mio sguardo sia catturato. Non mi piacciono le ragazze bionde, potendo scegliere. Ha un fisico normale, niente di che. Alta, sì ... ma un poco sovrappeso e scialba, nel vestire. In questo, tanto diversa dalla mia "lei", così perfetta, così curata, quasi fastidiosa nella sua perfezione. Devo superare questi scogli, per considerarla appetibile, attraente insomma.
    La incontro da qualche mese sul bus. Dimostra quattro o cinque anni meno di me e sicuramente, studia all'università. Una materia scientifica, di certo. Abbigliamento pratico, atteggiamento pratico. Estetica minimale; voglia di finire. Una certa noia nei gesti, una trascuratezza nei modi. Somiglia a “lei”, nello sguardo: vivido, nero non solo nel colore.
    Nasconde più di quanto dica e dice già molto, incrociando i miei occhi, che da troppi giorni la cercano, tra i passeggeri del bus della mattina. È quasi una settimana, infatti, che senza alcun pudore e senza paura - guardandola oltre ogni dubbio - le do da intendere che mi interessa. Non è bella, forse neppure come mia moglie, ma poco importa. Lei è diversa e questo basta per sentire attrazione. Lei è novità. Avventura. Pericolo.
    Ho scelto lei, sarà il rischio che correrò.
    "Ciao, è libero il posto?" - le chiedo, sedendomi accanto.

    4 marzo 2008

    Mi ha dato il suo numero di telefono.
    Mi voleva vicino da chissà quanto; attendeva il mio approccio.
    Mi guardava con occhi affamati mentre le parlavo di ciò che mi passava per la mente; chiacchiere, tanto per fare conversazione. Non voleva le mie parole, tuttavia, bensì il mio corpo e non così vicino, soltanto seduto accanto a lei sul bus. Mi voleva proprio dentro; tra le gambe, tra le labbra.
    Li vicino, sentivo il profumo del suo bagnato, quasi fossi divenuto un animale da preda. Con un nuovo istinto, forse sopito da anni di vita monogamica: percepivo come avessi vibrisse per questo, il suo desiderio di me.
    Percepivo una sorta di distrazione, quasi un fastidio in lei, che fingeva di ascoltarmi solo per essere educata.
    Se non fosse stato un primo approccio, se non fossimo stati in un luogo pubblico e affollato, con assoluta certezza avrebbe fatto lei il primo passo. Una settimana di sguardi tra la gente l'hanno accesa come non pensavo potessero fare soltanto i miei occhi.
    Non è una ragazza appariscente, è solo carina e neppure così tanto; di certo non è abituata ad essere oggetto di molte attenzioni. Per questo, probabilmente, si è rivelata così sensibile alle mie avances.
    Non ha il ragazzo; in tutte le settimane che l'ho osservata non ha mai risposto ad una telefonata di quel tipo; non si è mai messa a chattare a lungo col cellulare. Ascolta musica, oppure dorme o studia. Sicuramente è sola. Perciò sono andato sul sicuro: le ho detto subito, senza mezzi termini, che sono sposato e che mi sento in imbarazzo, anche soltanto a parlare con lei. Ovviamente ho mentito.
    Nessun imbarazzo, ma solo il modo per farle capire cosa mi interessa di lei.
    Il suo corpo, al massimo. Il suo corpo, subito.
    Non ero io, dei due, comunque, quello ad avere più voglia di scopare.
    Mi ha dato il suo numero ed io le ho scritto subito un messaggio; appena scesi dall'autobus, ognuno per la sua strada, dopo un saluto piuttosto formale e distante. "Sei carina, sai da tempo che mi piaci. Sono giorni che ti cerco tra la gente"
    Ha risposto in pochi secondi, con una domanda esplicita, senza però sorprendermi molto: "Cosa vuoi da me?".
    Nella posizione di chi non ha nulla da perdere, se non la faccia con una sconosciuta, le ho risposto altrettanto seccamente: "Scoparti".
    Poi - un po' per timidezza e timore della risposta, un po' perché davvero in ritardo - ho riposto il cellulare nel giubbino e sono entrato nell'edificio ove lavoro.
    Ho atteso qualche ora, senza una vera trepidazione. Distrattamente, occupato nelle occupazioni del mio ufficio, quasi dimenticandomi di lei e dell'episodio.
    Solo alle cinque di pomeriggio ho riguardato il cellulare e c'era un suo messaggio. Mi chiedeva dove lavorassi, a Milano. In quale via. Che orari facevo. Le ho risposto e alle sei, uscito dal lavoro, lei era lì all'ingresso della metropolitana. Mi aspettava.
    Mi ha dato uno schiaffo: "Non si tratta così una ragazza". Invece che andarsene, tuttavia, dopo lo schiaffo mi ha dato un bacio, a cui non ho risposto. Troppo sorpreso e imbarazzato, trovandomi in un luogo in cui qualche collega avrebbe potuto incrociarmi.
    Ho fatto con lei il viaggio di ritorno, non ha voluto sedersi vicino a me, su nessuno dei mezzi che abbiamo preso. Prima la metropolitana, poi il bus, infine la mia macchina. Ha voluto un passaggio, infatti, dalla fermata dell'autobus; il motivo, parlarmi in un luogo sicuro.
    Durante il viaggio sui mezzi pubblici, come a volere rimettere delle distanze, ha messaggiato con me e si è seduta in disparte, come fossimo sconosciuti.
    Come fossimo intimi, tuttavia, il tenore dei suoi messaggi ha manifestato una curiosità morbosa; una fame repressa. Ha voluto sapere cosa le avrei fatto, se non fossimo stati seduti sul bus.
    Essere pudico non avrebbe avuto alcun senso, così mi sono lasciato andare a pensieri e parole sinceri e turpi. Sporche come sporchi erano i miei pensieri, senza filtro.
    Mi sono perfino eccitato, scrivendole. Lo avevo duro, in mezzo alla gente, guardando il mio telefono e le parole che scrivevo sul display, prima di schiacciare il tasto "invio". Seduto, con un'erezione in mezzo alla gente, a due metri dalla ragazza che mi chiedeva come l'avrei scopata se avessi potuto farlo.
    Le ho detto che prima di scoparla avrei voluto sapere quanto brava fosse con la sua bocca: una sorta di test d'ingresso nel mio mondo privato.
    Non ha risposto a nessuno dei miei messaggi, a nessuna delle mie provocazioni. Ciononostante, sapevo per certo che a due metri da me c'era una ragazza tutta bagnata di desiderio, che avrebbe ben accolto la mia voglia tra le sue gambe. Che avrebbe assecondato, con le sue labbra turgide, i miei desideri.
    Ho avuto un poco di paura a farla salire in macchina: qualcuno degli amici che saluto alla fermata avrebbe potuto vedermi.
    Beninteso: conservavo l'alibi innocente di dare un passaggio a una ragazza che me lo aveva chiesto e che abitava sulla strada verso casa mia. Nulla di malizioso, una pura cortesia, all'apparenza.
    Anche sulla macchina, nessuna parola. Non ne sono servite, sebbene il suo proposito ... le intenzioni che mi aveva manifestato, fossero quelle di farsi accompagnare per "parlarmi".
    Ho preso una deviazione e lei non ha chiesto dove stessi andando. Ho parcheggiato l'auto vicino al bosco, alla curva grande che scende verso la frazione. Sono sceso, le ho aperto la porta e le ho chiesto se voleva scendere. Ha lasciato il giubbino in auto nonostante il freddo; la sua borsa sul sedile.
    Inginocchiata davanti a me, coperti dalla fiancata dell'auto e dall'intimità del luogo per nulla frequentato in inverno, ho slacciato i pantaloni e ho scoperto che una ragazza così affamata sa nutrirsi con ingordigia di un sesso duro e grande come il mio.
    Fino a saziarsi.
    Mi ha fatto godere con uno dei pompini più straordinari della mia vita. I suoi lunghi capelli neri, la sua foga di prendere. Sono venuto guardandola, davvero in pochi minuti, mentre lei guardava me e beveva tutto. Non impiego così poco, di solito, a venire, ma di solito non ho una ragazzina vogliosa ad occuparsi con premura del mio piacere. Ho dovuto fermarla, quando il suo muoversi che non accennava a scemare si è fatto insostenibile.
    Si è sollevata; ho sentito ancora il profumo del suo sesso fradicio e l'odore del mio sperma, sul lato della bocca arrossata.
    Non l'ho neppure sfiorata.
    Non i seni, non una mano tra le gambe.
    Non ne ho avuto il tempo: "Sono in ritardo. Dovevo essere a casa almeno da mezz'ora" - mi dice con un po' d'imbarazzo - "Domani è sabato. Mia sorella non è a casa ed ho le chiavi del suo appartamento. Vieni lì alle due, ora ti mostro dove".
    Non avevo mai tradito prima.
    Ma non ho alcun senso di colpa.
    Mi è piaciuto. Mi è piaciuto molto.

    5 marzo 2008

    Non è stato difficile trovare una scusa per assentarmi questo sabato pomeriggio. Con il pretesto di un'uscita in barca sul lago, con i soliti compagni, ho raggiunto la casa indicatami: l'appartamento di sua sorella.
    Con un messaggio, mi ha avvistato di parcheggiare l'auto lontano da occhi indiscreti, nella via lontana dalla statale. Mi ha detto di suonare due volte; mi avrebbe aperto il portoncino senza rispondere al citofono rapidamente, per evitare che qualche vicino mi vedesse entrare.
    Ho apprezzato questo suo impegno organizzativo e la sua discrezione, per quanto avrei dovuto essere io, quello più preoccupato della segretezza del nostro incontro. Non mi sento affatto preoccupato per le trame segrete che mi vedono coinvolto per la prima volta.
    Ora salgo le scale verso l'appartamento. La mia mente è e resta perfettamente lucida.
    Mi ha detto che la porta sarebbe stata socchiusa e che avrei capito così dove entrare: emozionante.
    La mia fervida immaginazione ha già steso la regia di ciò che accadrà tra pochi istanti. Si chiamano sogni ad occhi aperti. Nelle mie fantasie, appena varcata la porta, la troverò lì, poco vestita. La sbatterò subito contro una parete, con i seni contro il muro, slaccerò rapidamente i pantaloni – non porto neppure la cintura, come invece al mio solito, proprio per rendere più facile la realizzazione di questo intento – gli infilerò subito dentro il mio sesso duro come in effetti adesso è. Non mi preoccuperò molto del fatto che sia la sua volontà, il suo desiderio del momento. Questo è il mio ed è ciò che conta: oggi voglio essere egoista e arrogante.
    Parto da un fatto certo: lei, soltanto ieri, mi ha invitato qui perché vuole scoparmi. Sa che io voglio esattamente questo e ha accettato le regole del gioco, chiare, cristalline, elementari. Ho l'enorme vantaggio e la grande fortuna di avere a che fare con una persona che non amo e che, quindi, non devo rendere felice necessariamente. Una ragazza che mi desidera, dal momento che, un giorno fa, le ho dato il mio sesso da succhiare. La studentessa incontrata sul bus che lo ha leccato fino a bere di me ogni goccia di sperma, esplosa copiosa nella sua bocca calda.
    Arrivo al pianerottolo facendo girare questo disco in testa, proiettando dietro ai miei occhi un film crudo ed essenziale.
    Spingo la porta e lei è li, non però come la immaginavo.
    Porta una tuta con dei pantaloni grigi e una felpa nera. Ha calzini di cotone colorati ai piedi. Non è molto sexy, non ha nulla a che vedere, con le fantasie che pregustavo solo pochi istanti fa.
    Mi saluta con un rigido "ciao", senza sorridere. È di certo emozionata e pare persino preoccupata; chiude subito la porta alle mie spalle con due mandate. “Io non scappo, piccola: sarai tu a cercare una tregua, forse, tra un'oretta” – penso sorridendo.
    Il sogno scontratosi con la realtà - come ferro rovente immerso in acqua fredda per la tempra - diventa proposito senza poesia e accade una cosa nuova: mi vedo. Come se ci fosse una telecamera che mi filma e come se io fossi dietro ad essa, vedo non ciò che i miei occhi inviano al cervello sotto forma di impulso elettrico, ma osservo ciò che sono, nella situazione in cui sono, con distacco, da una prospettiva esterna. Spettatore di me stesso, estraneo e, insieme, protagonista.
    Così, vedo che non m’importa molto che lei abbia un vestito brutto e deprimente; vedo che non le permetto neppure di girarsi, dopo avere chiuso la porta.
    Vedo che mi avvicino di un passo e che le abbasso quei pantaloni, scendo alle caviglie e glieli sfilo. Vedo le sue mutandine nere, semplici. Sento ancora, come due giorni fa al nostro primo incontro, l'odore intenso del suo bagnato.
    Penso che probabilmente si è toccata, attendendomi, per bagnarsi o, semplicemente, pregustando il momento. D’altronde, anche io a casa, sotto la doccia prima di uscire, mi sono toccato senza venire, per l’eccitazione che saliva all’avvicinarsi dell’incontro programmato.
    La scena che seguo – terzo spettatore, guardone spudorato – si fa subito spinta. Lei dice sussurrando con una voce piatta e inespressiva, senza alcuna convinzione: "No dai ... non qui, vicino alla porta!". Io non l'ascolto – esattamente come lei vuole, in realtà – e sollevatomi, slaccio i jeans, prendo con la mano destra il mio fallo così duro da farmi male; con la bocca apro un preservativo e l’indosso rapidamente. Spostate appena le sue mutandine, entro in lei senza delicatezza; non ho bisogno di accertarmi che sia bagnata. Mentre entro la sento gemere e so che chiude gli occhi. Non mi spiego neppure come io possa saperlo, perché sono dietro di lei. Solo ammettendo che qualcosa di me ha davvero un'altra prospettiva su questa situazione, posso accettare la certezza di questo fatto.
    Tiene gli occhi chiusi e la bocca aperta; il suo bacino accenna un movimento, abbassandosi inarca la schiena. Vuole: vuole ritmo e forza, non leggo altro in questa predisposizione.
    Dopo cinque anni che scopo solo con la donna che è diventata mia moglie, il sesso di questa ragazza mi pare una cosa nuova.
    Bagnato, ma stretto probabilmente per l'emozione, ruvido perfino. Lo percepisco col "tatto" che può avere il mio sesso dentro di lei. Come guardassi in uno specchio, idealmente posto accanto a noi, vedo che siamo sgraziati: lei mezza vestita, io mezzo svestito. In piedi, lei con la testa reclinata dalla mia mano sinistra che tira indietro i suoi capelli neri, mentre inizio a saziare col ritmo la mia fame. Purtroppo, so che non potrò venire subito come vorrei. Per la prima volta, io che da quando ho quindici anni mi sono sempre vantato di essere molto resistente durante un rapporto, vorrei adesso invece non durare che un solo istante. Esplodere in un’eiaculazione copiosa, che riempia il preservativo e che sfoghi la mia fame egoistica e violenta. Non voglio che sentimenti o anche solo complicità temperino questa situazione. Dev'essere puro peccato, perfetta trasgressione, da vivere con cinismo, da gustare senza condivisione. Non voglio che neppure lei, che sta attaccata al mio corpo, lei dentro cui sono con parte di me, abbia conoscenza delle mie sensazioni. Voglio solo: solo io, solo piacere, solo questo.
    Spingo, aumenta il mio ritmo e lei geme a voce alta, tre centimetri di legno al di qua di un pianerottolo su cui si affacciano gli ingressi si altri quattro appartamenti. Gode, si muove chinandosi fino a terra. Le tengo i fianchi, voglio venire ma la foga me lo impedisce.
    Poi, mentre la scopo così, il desiderio cambia. Voglio venirle addosso, sui seni, in faccia, com'è la classica fine di un qualsiasi film porno, in cui l'amore e il rispetto non entrano.
    Mi fermo improvvisamente ed esco da lei. "Nooo, che fai?" - si lamenta, languida.
    La prendo con poca grazia per la mano e raggiungo il divano che ho intravisto nel soggiorno socchiuso. La invito a mettersi in ginocchio, sopra di esso, ma mentre lo fa, la spingo giù, sul pavimento, in modo che solo il suo petto si appoggi sui cuscini. Ha uno sguardo dipinto dal disappunto per il piacere interrotto e un'espressione scombussolata dai colpi profondi che l'hanno sbattuta contro la porta d'ingresso per un buon quarto d'ora. Piegata sulle ginocchia, il suo sesso sbrilluccica sotto la luce elettrica del lampadario e le sue labbra, divaricate, chiedono di essere riempite dalla dimensione del mio piacere. Nonostante vorrei venire, mi sento richiamato al dovere; invece che togliermi il preservativo e finalmente inondarla di desiderio accumulato, mi rimetto al lavoro: la penetro, ricomincio a spingerla forte, scontrando il mio basso ventre con le sue natiche quasi fino al dolore. Geme, sillabando un "s-ì, s-ì, s-ì..." al ritmo dei miei colpi, non mi controllo e decido di abbandonarmi a venire, quando vorrà il mio corpo. L'altro me, quello che osserva, masturbandosi per la scena a cui assiste come spettatore privilegiato seduto accanto, sul divano, vede i suoi seni muoversi avanti e indietro, la catenina al collo di lei sbattere sul viso e sulla bocca schiusa, gli occhi stralunati, il piacere che la fa sudare nonostante il freddo della stanza poco riscaldata.
    Potrei toccare il suo clitoride, ma non voglio farlo. Lo ordino a lei: le dico di toccarsi, subito. Lo pretendo. Lei prova a rispondermi, singhiozzando sempre a causa della mia irruenza che non le piace toccarsi mentre la scopo. Mette comunque una mano lì, sento che cerca il mio sesso, i miei testicoli, che comincia ad accarezzare: "Vie-ni ... vie-ni dai! Tan-to io non-rie-sco...Ho trop-pa-vo-glia" - mi dice con il respiro affannato e interrotto, girandosi come può.
    "D'accordo, piccola", penso senza dispiacermi per il suo arrendersi. Esco da lei e sfilo il preservativo dal mio fallo, duro sino al parossismo. Lei si gira, con occhi supplichevoli e un sorriso malizioso porta l'indice sinistro alle labbra, sapendo che è lì che voglio sborrare tutta la mia voglia. Mi masturbo guardandola: bramosa ancora una volta del mio seme, spettatrice ravvicinata del mio prossimo orgasmo. Anche l'altro me che osserva la scena dall'estremità opposta del divano, finalmente si alza e si mette accanto, continuando a masturbarsi: ora le prospettive quasi si sovrappongono. Forse, io ed il me-stesso-voyeur ci ricongiungiamo nella stessa entità o forse, restando separati ma vicini, stiamo entrambi masturbandoci dinanzi a questa ragazza affamata, seduta sui suoi talloni con le gambe ed il sesso ben aperti. Due falli grandi, uguali e duri, pieni di sperma e pronti a donarlo a lei che lo chiede. Mi piace pensare che siamo in due a dedicarci alla sua fame e alla sua sete; che presto la sazieremo e la disseteremo. Il suo sguardo si fa dolce e per questo, perché cerca i miei occhi, vengo guardandola.
    Veniamo entrambi insieme, con una stessa eiaculazione, un solo getto.
    Il primo schizzo, la supera e traccia una parabola che disegna la sua schiena, fino al sedere. Poi, con la bocca, lei è brava a cercare e prendere tutto, leccando il glande che le si offre, mentre le mie mani ancora decidono il ritmo che mi da il maggior piacere, fino a rallentare, piano piano, quando mi sento appagato e svuotato.
    Non ci sono che io, ora, dinanzi a lei; l'altro me è scomparso.
    Io, che mi sento in pace, mentre lei sorride e si siede sul divano; mi permette di vedere il suo sesso aperto e rosso. "Potevi venirmi in bocca, però! Guarda che disastro ..." - scherza, voltandosi a seguire la traiettoria del mio seme che è arrivato fino ai suoi piedi. Corre in bagno, lasciandomi sedere sul divano ancora caldo del suo corpo, mentre tengo in mano il sesso che si ammorbidisce.
    Torna e non mi sento abbastanza crudele, per rivestirmi e andarmene. Questa era la mia intenzione, in uno dei sogni di oggi. Trattarla come una vera puttana, ma non ci riesco. So che ha bisogno di me; so che deve ... vuole venire.
    Senza parole, la faccio ancora sedere. Scendo e comincio leccarla, senza dolcezza né preavviso e lei sussulta, per l'improvviso tocco, troppo sollecito.
    Però già gode; subito geme, i suoi lunghi capelli neri fanno da cornice allo sguardo con cui mi implora di non fermarmi e il mio sguardo, di risposta, le promette esattamente questo. La lecco con avidità, ha un buon sapore, diverso da quello della mia compagna. Il mio sesso, sulla cui punta ancora una goccia di sperma sta luccicando, ritorna duro per il piacere che le sto dando; l'ego viene appagato dalla capacità che ho di realizzare il suo piacere. Mi eccita che goda con il tocco sottile della mia lingua; anche lei - a suo modo - è violenta: preme con determinazione la mia bocca sulle sue labbra, chiede un tocco profondo, un movimento deciso; afferra con entrambe le mani la mia nuca e spinge, come volesse la mia testa dentro di se. La accontento come posso e, intanto, lei raccoglie tutta la fame accumulata nel tempo finora trascorso, sento che il suo respiro rallenta, sento il suo bacino muoversi sulla mia bocca ad un ritmo crescente e più regolare e insieme, più insistente. Viene; la cerco con gli occhi, dalla mia posizione. Vedo che mi sta guardando leccarla e i suoi occhi, si fanno stretti, mentre il suo corpo sussulta in un tremore che dura dieci o quindici secondi. Poi mi libera dalle sue gambe, dalle sue mani e dal compito che ho assolto. "Ti è piaciuto?" - le domando con distacco. "Sì, sì ... molto ... anche se avrei preferito venire con te dentro ... ma ero troppo agitata per riuscirci oggi ... la prossima volta, eh? Mi piace come scopi".
    Sorrido. La prossima volta. Chissà se ci sarà mai ...
    Dal bagno, dove mi sto sciacquando la bocca e lavando per il meglio, prendo congedo: "Devo andare adesso. Tra un'ora ho una partita di calcetto" - invento una scusa, ma non voglio passare altro tempo qui, con lei. So di essere freddo, persino disgustoso con questo modo di fare. Tutto volontario. La raggiungo in soggiorno, sollevo la patta dei pantaloni riallacciati, dinanzi a lei, con ostentazione. Ho ancora un'erezione e ancora voglia di venire, ma non adesso. Non con lei: non voglio sappia o semplicemente creda che ho bisogno di lei, piacere di lei.
    Le do un bacio distratto sulla guancia e poi, "Ciao. Scrivimi". Mi segue con lo sguardo, vedo con la coda dell'occhio: "Ciao ... scrivimi anche tu!". Non è delusa, bensì ancora troppo frastornata dall'orgasmo appena gustato. So che, così facendo, riduco al lumicino le possibilità di incontrarla nuovamente, ma forse - anche se ancora non so razionalizzare pienamente - non mi interessa più di tanto. Non le ho fatto alcun torto, comunque. Ha voluto tutto ciò che ha avuto e le è piaciuto, molto.
    Sulle scale, come osservando un replay, ripenso all'accaduto.
    Mi è piaciuto, tutto sommato.
    Il mio distacco, la determinazione, il calcolo. Il tempo rallentato, per gustare tutto al meglio.
    L'esecuzione precisa degli intenti, matematica, esatta. Cinismo e piacere.
    La prima volta che scopo un'altra, dacché mi sono sposato. La seconda volta che tradisco.
    Come ieri, non provo alcun rimorso, ma anzi una velata soddisfazione. Ciò che è accaduto non potrà mai essere scoperto, a meno che io non voglia. Un peccato perfetto, bolla separata nella mia esistenza, dalla mia vita ordinaria. Non corro alcun rischio e tutto è rimasto sotto un semplice quanto efficace controllo. Non credevo fosse così facile e vedo dischiudersi dinanzi infinite possibilità: invece che contrito dal rimorso o dal pentimento, sono elettrizzato. "La prossima volta": queste parole risuonano nella testa. Chissà con chi sarà, la prossima volta ...
     
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