Colpevole di amare

Racconti erotoci di vita reale

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    Una maledetta mattina estiva, una come le altre a Milano.

    Quel giorno ero in fila alla biglietteria della metropolitana.

    La mia tessera aveva deciso di smagnetizzarsi e, così, dovetti aspettare il mio turno allo sportello per risolvere la situazione.

    L'afa di quella giornata di mezza estate stava mettendo a dura prova la mia resistenza: i capelli iniziavano a bagnarsi sulla nuca e sulla fronte, percepivo gocce di sudore scivolare tra le gambe e l'orologio continuava a correre minuto dopo minuto.

    L'uomo davanti a me stava per concludere ed io mi ero già sporta in avanti per attaccarmi al banco di metallo.

    Si girò improvvisamente per scansarsi e riuscire ad uscire dalla calca e io, con l'intenzione di schivarlo per raggiungere l'operatrice, gli finii addosso.

    Era un uomo alto, ben piazzato, vestito in modo elegante.

    Come alzai lo sguardo per imprecare, lo vidi.

    Riccardo.

    I nostri sguardi si incrociarono per un attimo indefinito.

    Dalla sua espressione capii che mi aveva riconosciuta anche lui e bastò uno occhiata d'intesa, un luccichio negli occhi e, prima di sgattaiolare dalla fila di gente mi disse, semplicemente, "Ti aspetto".

    Non percepivo nemmeno i battiti del mio cuore, ero come in uno stato confusionale.

    Non appena sbrigai la seccatura della tessera, mi feci strada tra la folla e, con fatica, riuscii a trovarmi in uno spazio più arieggiato dove respirare profondamente.

    In lontananza lo vidi appoggiato alla colonna.

    Era sempre stato bello, dopo undici anni, però, era cambiato. Oltre ad essere bello, aveva l’aspetto da uomo più maturo, più affascinante, un misto di belle caratteristiche che gli donavano fin troppo.

    All'epoca, quando lo vidi l’ultima volta, ero poco più che una ventenne nel fiore della sua età: giovane, vitale, senza responsabilità, libera, più magra e con la pelle del viso ancora tonica. In quel momento cos'ero, invece? Una donna di trentadue anni, che correva tra lavoro e casa, non aveva tempo per dedicarsi a sé stessa e quel poco che aveva lo dava al suo compagno.

    Ero un fiore che iniziava a perdere i petali.

    Tutto il mondo attorno a me si affievolì, stavo camminando verso di lui e mi sembrava di farlo a rallentatore. Ero insicura, agitata.

    Mi avvicinai a lui, un sorriso spontaneo illuminò i nostri volti e ci abbracciammo.

    -Quanto tempo!- disse Riccardo, come se stesse rievocando nella sua testa gli ultimi undici anni della sua vita.

    -Già! Sembra passato un secolo. Guarda come siamo cambiati.. siamo adulti in tutto e per tutto.-

    Mi sorrise, mettendosi la mano chiusa a pugno davanti alle labbra. Vidi delle piccole rughe formarsi sulla fronte e pensai a quanto fosse bello.

    -Ma dimmi un po', cosa sei tornato a fare in quel di Milano?-

    -Devono aprire una nuova filiale della banca per cui lavoro e mi hanno chiesto di trasferirmi per dirigerla. Era una buona opportunità per la mia carriera, non potevo rifiutare. Per il momento starò in città una settimana, devo visitare due case per poter decidere quale acquistare. Poi tornerò definitivamente tra due mesi.-

    -Ne hai fatta di strada! Mi ricordo ancora di quando mi hai lasciata per andare all'estero a studiare economia e finanza. Beh, direi che hai fatto bene vedendo il livello che hai raggiunto.-

    Il volto di Riccardo cambiò espressione, come se volesse per forza cambiare discorso.

    -Dimmi di te, come sono andate le cose in questi anni? Un po' di tempo per un caffè al bar e quattro chiacchiere con un vecchio amico lo riesci a trovare?

    "Un vecchio amico".

    Già.

    Un "vecchio amico" con cui ho condiviso le prime esperienze di vita: il sesso, i primi viaggi insieme, le prime litigate di coppia, le prime gelosie, le prime paure e soprattutto l’amore.

    "Un vecchio amico"

    Il mio caffè era ormai diventato freddo a furia di mescolarlo. Ero incantata dai nostri discorsi e soprattutto da lui. Ero incredula che fossi lì a chiacchierare con l'uomo che anni prima amavo alla follia, così tanto che ero anche disposta a mollare tutto per raggiungerlo all'estero.

    Parlammo delle nostre vite, dei nostri lavori e delle nostre relazioni.

    Venni a sapere che era sposato e che la moglie era in attesa del loro primo figlio. Tra due mesi si sarebbe trasferita anche lei a Milano.

    Il cuore sprofondò in quell’acido chiamato gelosia. Era ingiustificata questa sensazione.

    Non era giusto che provassi quel sentimento, soprattutto perchè anch'io ero impegnata in una storia. Chi ero io per arrogarmi quel diritto?

    Il tempo volava e noi non ce ne rendevamo conto.

    Era come se fossimo dentro una bolla: i rumori esterni a noi erano ovattati e le figure fumose, solo sagome.

    Mi sembrava di essere tornata una ventenne con il cuore palpitante per l'eccitazione.

    -Posso chiederti una cosa?- disse ad un certo punto.

    -Ovviamente, chiedi pure!-

    -Se volessi rivederti o risentirti, dove posso trovarti?-

    Quella domanda mi trovò impreparata.

    -Riccardo, non so se è una buona idea. Certo, mi piacerebbe davvero molto, ma le nostre vite sono cambiate e dobbiamo farci bastare questo incontro casuale senza sforzare nulla.-

    -Ma non stiamo facendo nulla di male, voglio solo passare del tempo con una persona del mio passato dopo anni e anni di lontananza.- continuò lui, insistendo -Solo un altro caffè, un aperitivo, un pranzo.. Quello che vuoi! Oppure lasciami la tua e-mail se proprio non vuoi darmi un numero per reperirti.-

    Non risposi ma mi limitai a guardarlo con aria dispiaciuta.

    Sentivo l'esigenza di trattenermi perchè il solo fatto di averlo rivisto, causò in me qualcosa di strano. Un desiderio proibito cresceva sempre di più e mi ero imposta il compito di sopprimerlo prima che qualcuno si facesse male.. come Ivan, per esempio.

    Ricambiò lo sguardo silenzioso, deluso, ma rispettoso della mia scelta.

    Cercò nella tasca interna della giacca e appoggiò il suo biglietto da visita sul tavolino.

    Il suo messaggio era chiaro: chiamami se cambi idea.

    Mi rivolse un sorriso spento e forse un po' forzato.

    Si alzò e se ne andò.

    Avrei voluto piangere, urlare.

    Mandai giù il mio caffè freddo, che ormai aveva perso ogni aroma. Restava solo l’amaro.

    Nei giorni seguenti il mio umore fu davvero pessimo. Mi ero rovinata le unghie delle mani per la tensione e per il senso di colpa nei confronti di Ivan. Colpa per cosa, poi? Non era successo nulla eppure il mio cuore si sentiva sporco. Avevo rievocato sentimenti passati ormai sepolti da anni.

    Il bigliettino da visita era sciupato a causa di tutte le volte che lo rigiravo tra le dita.

    Era l'indecisione che mi opprimeva.

    Rivederlo era un rischio.

    Magari avevo solo interpretato male le sue intenzioni, ma la mia testa aveva altre idee. L'agitazione provata, la sensazione di essere tornata indietro nel tempo e poi lui, il fatto di averlo visto mi aveva risvegliato desideri profondi.

    Presi il telefono e lo chiamai.

    Quella sera ero particolarmente lunatica.

    Ivan non capiva cosa mi stesse succedendo e perchè il mio umore fosse così. Stavo indossando le mie décolleté nere, pronta ad uscire.

    "Una cena con un paio di amiche", gli dissi.

    Lo baciai, prima di chiudermi alle spalle la porta.

    Il mio vestito di seta bordeaux era leggero e fresco. Le spalline sottili si appoggiavano sulle mie spalle delicatamente, per poi scendere sul petto, con una scollatura generosa ma non volgare.

    L'abito mi arrivava appena sopra al ginocchio e il tessuto leggero lasciava trasparire le sagome delle mie gambe lisce ed abbronzate.

    Mentre scendevo al piano terra con l'ascensore, ne approfittai per gli ultimi ritocchi al rossetto.

    Mi sentivo bellissima, forse un po' troppo per una serata tranquilla con l'uomo che amavo anni prima.

    Decidemmo di trovarci direttamente nel punto prestabilito in via Brisa.

    Non volevo nulla di formale o galante come la cavalleria di essere presa anche sotto casa. Oltre che per questioni di segretezza, volevo mantenere quel minimo di distanza possibile.

    Arrivai lentamente, a causa dei mie tacchi alti, e lui era già lì, ad aspettarmi.

    Mi venne incontro e mi salutò.

    -Se bellissima!-

    -Suvvia! Sono passati anni da quando potevo ancora permettermi certi complimenti!-

    Mi guardò serio e con aria di rimprovero.

    Entrammo nel ristorantino, un locale molto rinomato a Milano, sia per la qualità che per i prezzi.

    Nell'entrare ispezionai i tavoli intorno, giusto per essere certa che non ci fosse qualcuno di conosciuto: la coscienza si faceva sempre più sporca.

    Il locale era davvero carino e venimmo sistemati ai tavoli esterni, sotto le stelle.

    Era molto, forse troppo, romantico.

    Riccardo, davanti a me, stava in silenzio e mi guardava, mi indagava.

    Mi sentivo messa a nudo davanti a lui e lui, per certo, mi conosceva molto bene: sapeva che se avevo accettato l'invito significava molto di più di quello che le parole potevano dire.

    Parlammo tutta la serata e tra una portata e l’altra, una chiacchiera e una risata, il tempo passò veloce e le lancette dell’orologio segnavano le 23:16.

    Quando uscimmo dal ristorante ero pronta a saluti di rito. Forse un addio, forse un arrivederci.

    Nell’esatto momento in cui stavo per ringraziarlo per la serata, la sua mano si appoggiò sulla mia vita.

    “Fermati”, pensavo dentro di me.

    Non volevo che la situazione andasse oltre solo per rispetto alle nostre vite, perchè per il resto poteva tranquillamente continuare a toccarmi e sfiorarmi in quel modo.

    Si avvicinò al mio orecchio, sentivo il suo respiro caldo muovermi i capelli e solleticarmi la pelle del collo.

    -Non pensavo che rivederti potesse farmi quest’effetto e so per certo che anche tu stai provando tutto ciò o non saresti qui adesso.

    Tremavo.

    Tremavo per la situazione, tremavo per l’eccitazione ma anche per la paura.

    Era una situazione pericolosa per tutti e due, uno di quei punti di non ritorno.

    Una mia mossa, una mia decisione, poteva cambiare le carte sul tavolo e stravolgere le nostre vite.

    Voltai il mio viso incontro al suo che era ancora nascosto tra i miei capelli, vicino all’orecchio.

    Bastò uno sfioro lieve, impercettibile, e scattò tutto.

    Le nostre labbra si cercarono, smaniose di riprovare sensazione ormai dimenticate.

    Riccardo mi avvolse in un abbraccio rassicurante che sciolse in me ogni titubanza. In quel momento dimenticai Ivan e la famiglia di Riccardo: eravamo solo io e lui.

    La smania e la voglia di riunirci ci fece correre verso la sua Audi.

    Arrivati all’auto, mi appoggiò delicatamente alla fiancata e continuò ad esplorarmi con la bocca. La sua barba mi pungeva e mi solleticava, io lo scoprivo con le mie mani.

    Risentire il suo corpo, più robusto di quando aveva ventisei anni, trasmetteva calore da ogni muscolo.

    Lo sentivo respirare contro di me e il suo petto andava a schiacciarsi contro i miei seni, coronati dai capezzoli turgidi dall’eccitazione.

    Avrei potuto fermalo mille volte o mi sarei potuta ritirare dalle sue braccia, eppure non lo feci. Anzi, il pensiero della nostra unione, l’idea di tradire Ivan mi stimolò ancor più. Il mio corpo fomentava l’atto sessuale, lo bramava.

    Ci staccammo per qualche attimo, quel che bastava per guardarci negli occhi e capire se entrambi volevamo la stessa cosa. Non servirono parole stupide ed obsolete in quel momento. Lui mi guardava eccitato.

    Io lo ricambiavo.

    Salimmo in macchina, in direzione del suo hotel: il Baglioni Hotel Carlton.

    Era solo un quarto d’ora di strada, un tempo infinito se sai che stai per tradire il tuo compagno. In quel quarto d’ora si hanno quindici minuti per poter cambiare idea.

    Ma io me ne stavo in silenzio, guardavo le luci fuori dal finestrino. Le vie di quella Milano a me famigliare, in quel momento erano nuove davanti ai miei occhi. Le stavo percorrendo per con sensazioni mai vissute prima dentro di me.

    Quando arrivammo nella sua stanza, rimasi colpita dal lusso che emanava.

    Gli chiesi se potevo andare in bagno, lui intanto stava ordinando qualcosa da bere al telefono.

    Davanti allo specchio notai che il mio colorito era bello, sano. Sembravo davvero felice! Ma a quale prezzo? Ero pronta a stravolgere la mia vita? Non avrei ottenuto nulla da tutto quel che stava per capitare, sarei rimasta con il mio senso di colpa e Ivan. Già, Ivan.

    Mi guardai silenziosa allo specchio, ripetendomi in testa “si o no?”, una nenia interminabile e stressante.

    Ero pronta, stavo uscendo dal bagno per dire a Riccardo che non avremmo fatto nulla quella sera, che non era giusto.

    Ma appena varcata la soglia della camera lo vidi ad aspettarmi, mentre si allentava la cravatta e si slacciava i polsini della camicia.

    Quella vista fu qualcosa di tremendamente erotico per me.

    Era elegante ed emanava una forte carica sessuale. I suoi movimenti lenti, come se si stesse assaporando ogni secondo, lo rendevano irresistibile.

    Il Dom Pérignon era già stato portato in camera, fresco e afrodisiaco.

    Un brindisi a noi e ne bevemmo un goccio.

    Poi uno, due flûte.

    L’alcol aveva arrossato le mie guance, avevo caldo e ciò mi portò a respirare più a fondo.

    Ruolo dominante, però, era quello dell’eccitazione: ripensavo al nostro bacio fuori dal ristorante, a lui che si allentava la cravatta, le sue mani.

    Un breve attimo di intesa tra i nostri occhi. L’adrenalina si faceva sempre più forte e la carica erotica si poteva percepire come un boato di temporale.

    Senza rendercene conto ci ritrovammo a pensare la stessa cosa e ci unimmo in un bacio appassionato, intenso e ricco di sentimento.

    Le nostre lingue danzavano all’unisono in una danza lussuriosa che pregustava gli attimi a seguire.

    Le nostre carni si cercavano e si desideravano, si stringevano e si accarezzavano.

    Le sue mani si infilarono sotto alla seta delicata. Ripercorse la sagoma della mia coscia.

    Mi prese il fianco e lo strinse, come a sottolineare un concetto di proprietà.

    Ero smaniosa di sentirlo con me, di averlo in tutti i modi possibili.

    Iniziai a sbottonargli la camicia, con vigore. In quel momento desideravo solo sentire la pelle del suo corpo a stretto contatto con la mia, quasi a fondersi.

    Mi tolse l’abito.

    Rimasi con il mio intimo scelto accuratamente per l’occasione.

    Il pizzo bianco ornava i miei seni, lo slip delineava le forme del pube.

    Si avvicinò a me e, baciandomi, mi tolse il reggiseno, liberando le mie protuberanze.

    Le prese e iniziò a baciarle, ogni suo tocco con le labbra causava in me un brivido profondo e viscerale.

    Con una mano faceva pressione sulla mia schiena, tirandomi sempre di più verso di lui, per essere sicuro di avermi il più vicino possibile.

    Le mie dita tra i suoi capelli.

    I respiri si facevano sempre più gravi e di tanto in tanto, gemiti di piacere uscivano dalle mie corde vocali.

    Il tradimento in atto si rivelò più eccitante del previsto, dal momento che ogni parte di me era diventata spaventosamente sensibile ad ogni tocco.

    Ci spogliammo definitivamente a vicenda e restammo lì, nudi, tolti di qualsiasi ostacolo.

    Baciandomi, mi spinse sul letto e mi fece sedere, poi, spingendomi con le braccia, mi tirò più avanti e mi ritrovai sdraiata.

    Lui sopra di me.

    Continuava a baciarmi e mi sfiorava, mi riscopriva.

    Non servivano le parole, lo volevo in quel momento e lo volevo dentro di me. Volevo diventare tutt’uno con lui.

    Agguantò il mio interno coscia, stringendolo, e allargò la gamba. Poi l’altra.

    Si appoggiò su di me premendo il membro contro il mio pube liscio e curato.

    I miei umori avevano pervaso la mia vagina ed ero pronta ad accoglierlo.

    Premette il membro contro la fessura, spinse.

    Sentii le pareti della vagina allargarsi alla sua presenza.

    Ritmicamente iniziò un gioco di pressioni, di conflitti amorosi.

    Il suo sesso andava a sbattere fino in fondo, in modo costante e passionale.

    Percepivo ogni minima sensazione e il mio corpo si contorceva ritmicamente sotto gli spasmi di godimento.

    Stringevo il candido lenzuolo, quasi a strapparlo.

    Riccardo mi torturava i seni in quello che era un appetitoso gioco di percezioni.

    Volevo regalargli tutta me stessa, volevo donargli il mio piacere.

    Alzai il busto verso di lui e lo feci stendere. Mi misi con le gambe a cavalcioni sul suo bacino e lo accolsi nuovamente dentro di me.

    Riccardo mi teneva i fianchi e con decisi movimenti pelvici accompagnava le penetrazioni.

    Mi strusciavo e rimbalzavo su di lui.

    La mia mente vagava lontana e si dedicava alla ricerca dell’appagamento.

    Sentivo le forze venir meno e il mio corpo si preparava al culmine di ogni esperienza sensoriale.

    Lui incalzava con i colpi e stringeva sempre più le sue mani su di me.

    Con forza, mi obbligò ad abbassare la schiena e premere il mio petto contro il suo.

    Il suo sesso stava diventando violento, il mio utero iniziava a cedere al piacere carnale.

    Dapprima un brivido mi pervase il basso ventre, come una scarica.

    Il respiro si spezzava e l’orgasmo prendeva il sopravvento fino a raggiungere l’apice.

    Nel vedermi in quello stato di piacevole sofferenza, Riccardo si lasciò andare, colmandomi il ventre del prezioso seme. Un gemito profondo, gutturale, uscì dalla sua bocca.

    Mi sentii riempita di quel prezioso e caldo fluido e i nostri sessi erano soddisfatti.

    Priva di forze, mi lasciai cadere sul suo corpo e mi abbandonai al cullare del suo petto che si gonfiava e sgonfiava.

    -Resta qui stanotte.- mi chiese.

    -Lo sai che non posso.-

    -Ti prego!- sussurrò con insistenza, scongiurandomi.

    -No Riccardo, devo tornare da lui.-

    La sigaretta si stava consumando lentamente mentre io ero lì, con la sua camicia addosso e le gambe incrociate, rannicchiata come a proteggermi e cullarmi.

    Seduta sulla sedia del terrazzo, guardavo distratta la notte della città dormiente; erano le tre e davanti a quella vista la vita era quasi sospesa.

    Un venticello lieve accarezzava la mia pelle accaldata dall'estate e dal sesso fatto poco prima.

    Ivan era in camera, sul nostro letto, e dormiva nudo. Raggi di luna gli illuminavano il viso rilassato e gli donavano un aurea così pacifica da sembrare di nuovo il venticinquenne che avevo conosciuto dieci anni prima. I primi capelli bianchi brillavano sotto quella luce così candida e pura da sembrare fili d'argento.

    Nonostante il rapporto appena avuto e la nostra relazione che andava avanti da dieci anni, non volevo stare con lui su quel letto.

    Probabilmente anche l'amore che avevamo fatto fu un atto meramente fisico: uno sfogo. O almeno da parte mia.

    Quel letto mi sembrava scomodo quella sera.

    O scomoda stava diventando la nostra relazione.

    Non so.

    Un brivido.

    Una lacrima.

    La crisi andava avanti da una settimana, da quando tornò quella persona nella mia vita.

    L’aver fatto sesso con Riccardo la sera prima mi destabilizzò.

    Forse non era nemmeno sesso se era riuscito a mettere in crisi il mio rapporto con Ivan.

    Eppure, adesso, non mi sentivo appartenere ne a uno ne all’altro.
     
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