Storia di Andrea Mansi il marinaio trucidato dalla furia nazista

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    Era l'alba del 12 settembre 1943. Un giovane marinaio di leva di Ravello, Andrea Mansi, classe 1919, faceva ritorno a Napoli, dove prestava servizio presso l'ospedale militare di Fuorigrotta, dopo una licenza breve. Prima di lasciare Ravello, quel giovane, dalla profonda devozione verso la Madonna, si incaricò di suonare a distesa le campane della chiesa parrocchiale del Lacco, il suo rione, nel giorno della ricorrenza del Santissimo Nome di Maria Vergine.

    Ma Andrea era all'oscuro di ciò che sarebbe accaduto in serata nel capoluogo partenopeo.

    Alle 18 e 30 Dwight D. Eisenhower, rese nota l'entrata in vigore dell'Armistizio di Cassibile (armistizio breve, già siglato il 3 settembre) e confermato poco più di un'ora dopo, alle 19 e 42, dal proclama del maresciallo Pietro Badoglio trasmesso dai microfoni dell'EIAR. Le forze armate italiane, come in tutto il Paese, a causa della mancanza di ordini dei comandi militari si trovarono allo sbando anche a Napoli.

    A Napoli la situazione, già difficile per i bombardamenti subiti e per lo squilibrio delle forze in campo (oltre 20mila tedeschi a fronte di soli 5mila italiani, in tutta la Campania), ben presto divenne caotica per la diserzione di molti alti ufficiali, incapaci di assumere iniziative se non addirittura conniventi con i nazisti, cui seguì lo sbando delle truppe, incapaci a loro volta di difendere la popolazione civile dalle angherie tedesche.

    Il 12 settembre i tedeschi decidono di sospendere i preparativi per la ritirata e di instaurare col terrore il loro pieno dominio sulla città.

    Un corriere da Berlino portò al comandante tedesco Walter Schöll l'ordine di non lasciare la città e in caso di avanzata delle truppe anglo-americane di non abbandonarla prima di averla ridotta "in cenere e fango".

    Fu allora che proprio il 12 settembre, il colonnello Schöll, assunto il comando delle forze armate occupanti nella città partenopea, proclamò il coprifuoco e dichiarò lo stato d'assedio con l'ordine di passare per le armi tutti coloro che si fossero resi responsabili di azioni ostili alle truppe tedesche, in ragione di cento napoletani per ogni tedesco eventualmente ucciso. Ma il proclama (nella foto) venne reso noto soltanto il giorno successivo.

    Dopo alcuni minuti di bombardamento a scopo terroristico, i tedeschi penetrarono nelle case e cominciarono l'opera di saccheggio, di violenze e di distruzione. Gli abitanti venivano cacciati fuori, spogliati di ogni loro avere, incolonnati e costretti ad assistere all'incendio delle loro abitazioni.

    Anche l'Università venne invasa e incendiata, distrutti migliaia di volumi. L'obiettivo non era scelto a caso: i tedeschi sapevano che dopo il 25 luglio l'Università era divenuta uno dei centri di raccolta dell'antifascismo.

    Giunto presso l'Ospedale di Fuorigrotta Andrea Mansi non trovò nessuno. Erano spariti tutti. Non sapendo cosa fare, ma soprattutto non essendo a conoscenza di ciò che a Napoli stava accadendo (veniva da alcuni giorni di licenza e in tanti, parenti e amici gli avevano consigliato di non fare ritorno a Napoli), si diresse verso il centro, vestito della divisa militare seb (servizio estiva bianca) della Regia Marina, speranzoso di incontrare qualche suo commilitone, magari quel Luigi Nappo di Gaeta con il quale aveva un rapporto privilegiato. Ma riconosciuto dalla bianca divisa Andrea venne fatto prigioniero, ingiustamente accusato di aver attentato alla vita di un militare tedesco.

    Fu questo il vile pretesto per poterlo subito giustiziare, proprio come accadde per tanti altri innocenti militari italiani.

    Il 12 settembre il 24enne marinaio di Ravello venne condotto sul patibolo della soglia della sede centrale dell'Università Federico II ancora in fiamme. Come spiegava alla folla un funzionario fascista, sarebbe stato il responsabile della, inesistente, uccisione del soldato tedesco. A colpi di calcio di fucile il marinaio fu spinto sulla scalinata dell'Ateneo, mentre urlava la sua innocenza. Una telecamera della Gestapo, montata su un carro armato leggero riprendeva la scena della folla e dell'edificio incendiato. Dapprima il marinaio fu forzato ad entrare dal portone, ulteriormente sventrato anche da una cannonata, per essere arso vivo nell'atrio in fiamme, poi fu tirato fuori e legato ad una delle porte roventi, per essere più facilmente visto dalla folla mentre urlava agonizzante, col metallo che gli ustionava la schiena. Alla cruenta esecuzione furono costretti ad assistere numerosi civili, ai quali venne dato ordine di inginocchiarsi sotto la minaccia delle mitragliatrici, a guardare i soldati tedeschi che sparavano al marinaio che gemeva ed infine, alla sua morte, ad applaudire.

    Una lapide posta sulle scale dell'ateneo ancora oggi ricorda quel supplizio, ma del milite ignoto. Il corpo di Andrea Mansi venne tumultuato nel cimitero di Napoli e traslato in pompa magna a Ravello solo il 17 marzo 1951 (foto), presso l'ala antica del cimitero comunale al loculo n.66 dove si legge "Il Comune di Ravello per onorare il martirio di tanto eroe pose". Dagli anni novanta del secolo scorso, il Comune di Ravello ha intitolato, al nome di Andrea Mansi, la piazzetta del rione Lacco, il luogo dal quale quel dì di settembre il giovane marinaio ravellese partì per non farvi mai più ritorno.

    I suoi resti sono stati estumulati il 12 settembre 2013.

    Mineralizzati, il 18 febbraio 2014 collocati presso il Sacrario dei Caduti di Piazza Fontana Moresca, degno ricnoscimnto della Città di Ravello al suo eroe.

     
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