Il piacere Gabriele d’Annunzio

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    Il piacere Gabriele d’Annunzio

    Gabriele D'Annunzio nasce a Pescara il 12 marzo 1863 da
    famiglia borghese, che vive grazie alla ricca eredità dello zio Antonio
    D'annunzio. Compie gli studi liceali nel collegio Cicognini di Prato,
    distinguendosi sia per la sua condotta indisciplinata che per il suo accanimento
    nello studio unito ad una forte smania di primeggiare. Già negli anni di
    collegio, con la sua prima raccolta poetica Primo vere, pubblicata a
    spese del padre, ottiene un precoce successo, in seguito al quale inizia a
    collaborare ai giornali letterari dell'epoca. Nel 1881, iscrittosi alla facoltà
    di lettere, si trasferisce a Roma, dove, senza portare a termine gli studi
    universitari, conduce una vita sontuosa, ricca di amori ed avventure. In breve
    tempo, collaborando a diversi periodici, sfruttando il mercato librario e
    giornalistico, e orchestrando intorno alle sue opere spettacolari iniziative
    pubblicitarie, il giovane D'Annunzio diviene figura di primo piano della vita
    culturale e mondana romana. Dopo il successo di Canto novo e di Terra
    vergine
    (1882), nel 1883 ha grande risonanza la fuga ed il matrimonio con la
    duchessina Maria Hardouin di Gallese, unione da cui nasceranno tre figli, ma che
    a causa dei suoi continui tradimenti, durerà solo fino al 1890. Compone i versi
    dell’Intermezzo di rime ('83), la cui «inverecondia» scatena un'accesa
    polemica; mentre nel 1886 esce la raccolta Isaotta Guttadàuro ed altre poesie,
    poi divisa in due parti L'Isottèo e La Chimera (1890). Ricco di
    risvolti autobiografici è il suo primo romanzo il piacere(1889), che si colloca
    al vertice di questa mondana ed estetizzante giovinezza romana. Nel 1891
    assediato dai creditori si allontana da Roma, e si trasferisce insieme all'amico
    pittore Francesco Paolo Michetti a Napoli, dove, collaborando ai giornali locali
    trascorre due anni di «splendida miseria». La principessa Maria Gravina Cruyllas
    abbandona il marito e va a vivere con il poeta, da cui ha una figlia. Alla fine
    del 1893 D'Annunzio è costretto a lasciare, a causa delle difficoltà economiche,
    anche Napoli. Ritorna, con la Gravina e la figlioletta, in Abruzzo, ospite
    ancora del Michetti. Nel 1894 pubblica, dopo le raccolte poetiche Le elegie
    romane
    ('92) e Il poema paradisiaco ('93) e dopo i romanzi
    Giovanni Episcopo
    ('91) e L’innocente ('92), il suo nuovo romanzo
    Il trionfo della morte
    . I suoi testi inoltre cominciano a circolare anche
    fuori d'Italia. Nel 1895 esce La vergine delle rocce, il romanzo in cui
    si affaccia la teoria del superuomo, che dominerà tutta la sua produzione
    successiva. Inizia una relazione con l'attrice Eleonora Duse, descritta
    successivamente nel romanzo «veneziano» Il Fuoco (1900); e avvia una
    fitta produzione teatrale: Sogno d’un mattino di primavera ('97),
    Sogno d’un tramonto d'autunno
    , La città morta ('98), La Gioconda
    ('99), Francesca da Rimini (1901), La figlia di Jorio (1903). Nel
    '97 viene eletto deputato, ma nel 1900, opponendosi al ministero Pelloux,
    abbandona la Destra e si unisce all'estrema Sinistra (in seguito non verrà più
    rieletto). Nel '98 mette fine al suo legame con la Gravina, da cui ha avuto un
    altro figlio. Si stabilisce a Settignano, nei pressi di Firenze, nella villa
    detta La Capponcina, dove vive lussuosamente prima assieme alla Duse, e poi con
    il suo nuovo amore Alessandra di Rudinì. Intanto escono Le novelle della
    Pescara
    (1902) e i primi tre libri delle Laudi (1903). Il 1906 è
    l'anno dell'amore per la contessa Giuseppina Mancini. Nel 1910 pubblica il
    romanzo Forse che sì forse che no, e per sfuggire ai creditori, convinto
    dalla nuova amante Nathalie de Goloubeff, si rifugia in Francia. Vive allora tra
    Parigi e una villa nelle Lande, ad Arcachon, partecipando alla vita mondana
    della belle èpoque internazionale. Compone opere in francese; al «Corriere della
    Sera» fa pervenire le prose Le faville del maglio; scrive la tragedia
    lirica La Parisina, musicata da Mascagni, ed anche sceneggiature
    cinematografiche, come quella per il film Cabiria (1914). Nel 1912 , a
    celebrazione della guerra di Libia, esce il quarto libro delle Laudi. Nel 1915,
    nell'imminenza dello scoppio della prima guerra mondiale, torna in Italia.
    Riacquista un ruolo di primo piano, tenendo accesi discorsi interventistici, e
    traducendo nella realtà il mito letterario di una vita inimitabile, partecipa a
    varie e ardite imprese belliche, ampiamente autocelebrate. Durante un incidente
    aereo viene ferito ad un occhio. A Venezia, costretto ad una lunga
    convalescenza, scrive il Notturno, edito nel 1921. Nonostante la perdita
    dell'occhio destro, diviene eroe nazionale partecipando a celebri imprese, quali
    la beffa di Buccari e il volo nel cielo di Vienna. Alla fine della guerra,
    conducendo una violenta battaglia per l'annessione dell'Italia all'Istria e alla
    Dalmazia, alla testa di un gruppo di legionari nel 1919 marcia su Fiume e occupa
    la città, instaurandovi una singolare repubblica, la «Reggenza italiana del
    Carnaro», che il governo Giolitti farà cadere nel 1920. Negli anni dell'avvento
    del fascismo, nutrendo una certa diffidenza verso Mussolini e il suo partito, si
    ritira, celebrato come eroe nazionale, presso Gardone, sul lago di Garda, nella
    villa di Cargnacco, trasformato poi nel museo-mausoleo del «Vittoriale degli
    Italiani». Qui, pressochè in solitudine, nonostante gli onori tributatigli dal
    regime, raccogliendo le reliquie della sua gloriosa vita, il vecchio esteta
    trascorre una malinconica vecchiaia sino alla morte avvenuta il I° marzo 1938.

     


    TRAMA


    Il romanzo si apre al centro dell’azione narrata: Andrea
    Sperelli, il protagonista, è nelle sue stanze, in attesa dell‘ex amante, la
    duchessa di Scerni, Elena Muti, che ha accettato il suo appuntamento dopo una
    lunga separazione.


    Mentre pregusta la gioia che la visita dell’amante gli
    procurerà, Andrea ripensa al “giorno del gran commiato”. Elena lo ha lasciato
    senza una spiegazione, durante una gita romantica “fuori della Porta Pia”,
    adducendo come unico motivo il fatto che deve partire. I gesti e le parole di
    entrambi dimostrano che il loro amore non è finito; essi si amano e si
    desiderano come nei momenti più alti del loro rapporto, eppure quella inebriante
    relazione deve concludersi.


    L’attesa dell’incontro si prolunga, tra paure improvvise e
    ansie palpitanti; ma dentro di sé Andrea è sicuro che la messinscena predisposta
    avrà ragione di eventuali ritrosie di Elena, che nel frattempo si è sposata con
    un Lord inglese.


    L’arrivo di Elena pone fine alla lunga attesa: in quei
    luoghi, dov’è stata felice, la donna subisce il fascino del ricordo e delle cose
    predisposte dall’amante; ma cerca disperatamente di resistervi. Andrea, invece,
    abbagliato dal suo splendore presente quanto dal ricordo di una sfrenata
    passione, è più che mai intenzionato a farla nuovamente sua. La commozione e
    l’ardore che prova gli suggeriscono parole infiammate, seppur menzognere, tali
    da accendere l’animo della donna, che tuttavia continua a resistergli. Tanto
    che, quando l’amante fa diventare più pressanti le sue avances, non esita a
    porre la “domanda crudele” per fermarlo: “Soffriresti tu di spartire con altri
    il mio corpo?”. L’incontro tra i due si chiude su questa battuta.


    A questo punto inizia il viaggio a ritroso che ha per
    apertura la descrizione del protagonista: il conte Andrea Sperelli-Fieschi d’Ugenta.
    Rimasto signore di una discreta fortuna in giovane età per la morte del padre, è
    il nobiluomo alla ricerca del grande amore, educato “al culto della Bellezza”.


    L’incontro con Elena Muti, giovane vedova, fa presagire il
    raggiungimento della meta. Il loro è un amore annunciato: entrambi giovani,
    belli, liberi da vincoli, amanti dei piaceri della vita e squisiti cultori del
    bello in tutte le sue forme, non possono che arrendersi, e volentieri, alle
    circostanze. La loro conoscenza avviene durante un ricevimento organizzato dalla
    cugina di Andrea, Francesca d’Ateleta.


    L’indisposizione che colpisce Elena impedisce loro di
    vedersi per qualche giorno, ma l’impazienza di Andrea non conosce ostacoli, così
    si reca direttamente a casa della donna e viene ricevuto, a differenza dei
    precedenti visitatori, nella camera dell’inferma. Sarà lì che si consumerà per
    la prima volta il loro amore.


    Tuttavia, proprio quando l’amore tra i due è al culmine e
    la stagione primaverile, ingentilendo le cose, sembra preludere a una nuova fase
    del loro rapporto giunge l’addio di Elena, improvviso e immotivato. Il colpo
    inatteso tramortisce Andrea, che per reazione si lancia in una serie di
    avventure, agevolate dalla fama ormai acquisita di conquistatore. Naturalmente
    le “prede” sono tutte titolate e bellissime. Gettatosi a capofitto nel
    “Piacere”, non riesce a stordirsi a sufficienza, non tanto da dimenticare
    l’amata, delle cui seconde nozze gli giunge intanto notizia. Nel corteggiare
    Donna Ippolita Albonico trova ostacolo nella gelosia dell’amante della donna,
    tanto che i due rivali giungono a sfidarsi a duello. Dall’alto della sua
    migliore preparazione tecnica Andrea domina facilmente l’avversario, toccandolo
    a più riprese con lucida freddezza; ma un colpo fortuito e rabbioso del rivale
    lo tramortisce.


    Andrea trascorre la convalescenza nella campagna di
    Rovigliano, a villa Schifanoja, sotto le vigili cure di sua cugina, la marchesa
    Francesca d’Ateleta. Immerso nella contemplazione e nello studio, fra gli altri,
    dei libri sacri indiani, si purifica, rinnegando la vita precedente, il piacere,
    il desiderio e gettandosi nuovamente nella fatica-ebbrezza della composizione.


    Intanto giunge a Schifanoja un’amica di Francesca, Donna
    Maria Ferres, la moglie del ministro plenipotenziario di Guatemala. La sua cosa
    più bella sono i capelli, il suo amore più dolce è per la figlia, il suo aspetto
    è monacale, la sua ritrosia è assoluta: è insomma l’esatto contrario di tutte
    quelle donne che sono passate nel letto e nel cuore di Andrea e proprio per
    questo egli fortemente se ne invaghisce, pur continuando inconsciamente a
    pensare ad Elena.



    Nel dichiararsi Andrea sceglie attentamente le sue parole:
    contenute nella forma e negli atteggiamenti; pronte per essere interpretate come
    irresistibile slancio passionale, ma contemporaneamente del tutto rispettose e
    testimoni della disposizione al sacrificio, alla rinuncia. L’ingenua e casta
    Maria è in grande affanno, travolta dagli eventi che la vedono in bilico tra una
    prudenza radicata e il turbine di sensazioni nuove e sconvolgenti da cui non sa
    difendersi.


    L’alternata presenza della figlia può ancora toglierla
    d’impaccio, lasciando Andrea senza una risposta, senza un’indicazione certa dei
    suoi sentimenti. Tanto che d’Annunzio, pur avendo fatto ampiamente intuire il
    turbamento della donna e presagire il suo cedimento, ricorre a questo punto ad
    un espediente narrativo, inserendo nel testo pagine di diario della Ferres, che
    ripercorrono le stesse vicende, più alcune seguenti, fino alla partenza di tutti
    gli ospiti da villa Schifanoja.


    Così si apprende che Maria si illude che il rapporto con
    Andrea, da cui è fortemente tentata, possa avere un suo percorso silenzioso, del
    tutto platonico e neppure manifestato, ma Andrea incalza l’amata, non le dà
    tregua, rinnova le sue profferte d’amore trasformandole in moto passionale
    incontenibile: Maria, infine, è costretta a confessare il proprio amore.


    Quando ancora non si è ripresa dallo choc di avere dovuto
    rivelare il suo terribile segreto, un altro dolore giunge a tormentarla: si
    rende conto infatti che Francesca, l'adorabile amica, soffre in silenzio per suo
    conto della situazione, essendo segretamente innamorata del cugino.


    La partenza da Schifanoja viene vista da Maria come una
    fuga salutare ed opportuna ma al tempo stesso come frutto di sofferenza per
    l’abbandono di Andrea, profondamente amato.


    Andrea, tornato nel pieno delle sue forze, si reca
    nuovamente a Roma. Ancora un po’ toccato dal ricordo di Maria Ferres, mette da
    parte ogni scrupolo e si getta nella vita di un tempo con un entusiasmo
    sforzato. Il ritorno in grande stile al Piacere non soddisfa più di tanto
    Andrea: donne, bella vita, Roma, Londra e Parigi, gli lasciano ora un senso di
    vuoto e di nausea; ciononostante non riesce a distaccarsene. E’ a questo punto
    che l’azione prende il giusto andamento cronologico; l’incontro con Elena Muti
    riporta infatti il livello narrativo al momento originario, all’indomani
    dell’incontro col quale si era aperto il romanzo. 


    Soltanto adesso Andrea viene a sapere il reale motivo per
    cui Elena lo ha abbandonato: la donna, sull’orlo di una gravissima crisi
    finanziaria, ha potuto trarsi d’impaccio solo grazie a un matrimonio d’interesse
    con Lord Heathfield, un ricchissimo nobiluomo inglese. Ora nel suo animo si
    consolida l’idea di un’Elena crudele e ingannatrice: quasi per contrasto,
    allora, ritorna l’immagine dolce di Maria Ferres e le due donne, come già è
    avvenuto, tendono a sovrapporsi.


    Tuttavia la passione per la vecchia amante è troppo forte e
    lo Sperelli si ripromette di conquistarla nuovamente, senza la pretesa di
    ritrovare un amore che, nella sua più completa accezione, è ormai perduto.


    Una sera viene a sapere che Maria Ferres è appena tornata a
    Roma. Il giorno successivo, l’incontro con la donna conferma che lei è ancora
    innamorata, anche se perdura una ferrea volontà di opporsi al suo desiderio. Ma
    Andrea ha ormai ben compreso quel carattere, per cui non corre il rischio di
    rovinare tutto con mosse premature. Programma quindi innocenti incontri, come la
    presenza ad un concerto cui assiste casualmente anche Elena. Egli sembra
    scorgere in entrambe della gelosia: l’insistenza di Maria nel sottolineare la
    bellezza della Muti, così come l’invito di quella nella propria carrozza, dopo
    che Maria se né andata ne sono la conferma. E infatti, dopo tanto ritrosia e
    freddezza, Elena lo bacia appassionatamente. Seppur attratto dall’improvviso
    bacio di Elena, la preda più ambita continua ad essere la Ferres, nei confronti
    della quale Andrea prosegue l’opera iniziata senza alcuno scrupolo, senza
    preoccuparsi delle continue menzogne e della perdizione cui conduce se stesso e
    la donna.


    Intanto Elena, un po’ misteriosamente, lo invita per la
    notte davanti al suo palazzo: tuttavia la trepidante attesa non è ricompensata
    dall’arrivo della donna che ritorna a casa senza poi recarsi dall’amante. Le
    rose bianche predisposte per l’amore, in perfetta sintonia con la nevicata
    notturna, andranno allora a rendere il doveroso omaggio altrove, gettate a
    fascio davanti alla porta della Ferres. La donna, quasi in attesa di un simile
    gesto in una notte come quella, sta spiando dai vetri la strada sottostante:
    vedere l’amato compiere un tale gesto la convince dell’inevitabilità di quel
    rapporto. Per questo i loro incontri si intensificano, permettendo ad Andrea di
    condurla sugli itinerari preferiti dal suo cuore, quegli stessi su cui aveva
    condotto per mano Elena, appena due anni prima, nei giorni del loro amore.


    Non bastano al conte le crescenti dimostrazioni d’affetto
    di Maria per dimenticare l’amante infedele. L’inutile attesa nella carrozza ha
    ancora di più esacerbato il suo desiderio. Così egli si trova a dovere
    sopportare le manie di raffinato collezionista del marchese suo consorte, pur di
    avere occasioni per starle vicino, per chiedere spiegazioni e riallacciare i
    contatti. La rabbia e il disgusto sono tali che Andrea giunge a pianificare di
    uccidere lui, possedere lei e poi uccidere se stesso.


    Nel frattempo Maria ha finalmente ceduto, ma la mente di
    Andrea, ora che possiede il corpo di Maria, ritorna inevitabilmente e in modo
    ossessivo a quello di Elena. La Ferres diventa quindi soltanto un inconsapevole
    strumento per placare la sua smania, tanto che subisce la violenza dell’amante,
    reso quasi pazzo dal ricordo della Muti.


    Continuando a frequentare il bel mondo, Andrea viene a
    conoscenza del grave scandalo che sta per travolgere don Manuel Ferres, sorpreso
    mentre barava al gioco. Chi gli racconta il fatto è proprio il giovane
    gentiluomo che sta per prendere il suo posto come amante della Muti; il tarlo di
    quel mancato possesso, in presenza di chi invece ne potrà godere, lo rode ancora
    più atrocemente. L’amore di Maria gli è ormai quasi indifferente, se non nella
    misura in cui approfitta del suo corpo per illudersi di possedere l’altra.


    Intanto Maria deve affrontare la bufera dello scandalo
    legato al marito; ai molti debiti risponde con la messa all’asta dei suoi beni,
    mentre il cuore si concentra sempre più sull’amante, che è l’unico a non averla
    abbandonata a se stessa, seppur per motivi che lei neppure lontanamente
    sospetta. Cerca quindi di ricevere da quel rapporto tutte le dolcezze possibili
    prima di una separazione che sente come definitiva, nonostante le promesse di
    Andrea. Non mancano tra i due momenti di struggente tenerezza, anche se
    l’amante, preso dalla sua folle necessità di sovrapporre l’immagine delle due
    donne, la costringe spesso ad amplessi furibondi. Andrea, egoisticamente e
    brutalmente, giunge al punto di morsicarla con violenza durante l’amore per
    trattenere in gola il nome di Elena.


     Andrea è talmente ossessionato che, ricevuta in confidenza
    la conferma che Elena ha ormai un nuovo amante, la segue mentre si reca
    all’appuntamento d’amore. Poi, con la morte nel cuore e l’immagine di lei nella
    mente, attende Maria per scaricare su di lei il suo impossibile sogno. Ma
    stavolta Sperelli è troppo fuori di sé, tanto che il nome così lungamente
    trattenuto gli sfugge di bocca. Maria, in un attimo, comprende tutto; piena di
    orrore e di pena se ne va, mentre Andrea disperandosi cerca inutilmente di
    trattenerla. E’ l’epilogo. Lo Sperelli è consapevole del completo fallimento
    della sua vita, nonché della crisi irreversibile di quel mondo fatato in cui ha
    condotto l’esistenza.


     


    PERSONAGGI


    ANDREA SPERELLI


    Nel protagonista di questo romanzo confluiscono due opposte
    volontà: l’intenzione dell’autore di ritrarsi nel suo personaggio e quella del
    narratore di criticarlo, condannarlo e superarlo come tipo umano.


    La volontà autobiografica risulta evidente poiché nel
    personaggio di Sperelli d’Annunzio incarna sia il frutto delle sue esperienze
    reali sia i suoi sogni e le sue aspirazioni: Sperelli  è ciò che d’Annunzio è e
    ciò che vorrebbe essere. Così è giovane, elegante, raffinato e piacente come
    lui, ma è anche come lui non è, nobile, ricco e alto di statura; come lui è un
    intellettuale, ma Sperelli oltre che poeta è anche incisore; è come lui un
    seduttore ora timido come “Cherubino” ora cinico come “Don Giovanni”, ma
    diversamente da lui è libero da vincoli coniugali e da obblighi familiari; come
    lui ha facile accesso nei ritrovi mondani e nei salotti della nobiltà, ma
    diversamente da lui vi entra come protagonista e non come cronista.


    Tuttavia nel romanzo il narratore non manca mai di
    sottolineare la debolezza morale di Sperelli oltre che il suo cinismo e la sua
    perversione. È evidente come questo personaggio sia solito scindersi in ciò che
    è e in ciò che deve apparire, in ciò che è e in ciò che vorrebbe essere, in ciò
    che sente e in ciò che esprime all’esterno. La sua intera vita è fondata sulla
    doppiezza, sulla falsità, sulla menzogna e sull’inganno.


     


    ELENA MUTI e MARIA FERRES


    Costituiscono le due figure in cui è scisso il protagonista
    femminile, rappresentano infatti l’una l’opposto dell’altra. Emblematicamente si
    contrappongono fin dal nome: l’una richiama la donna che secondo il mito
    trascinò in rovina un intero popolo, l’altra la donna pura della tradizione
    cattolica. La prima incarna l’ideale dell’amore erotico e sensuale la seconda
    quello dell’amore spirituale: Elena, nella sua vicenda d’amore si avvale dei
    versi di Goethe (poeta sensuale), Maria invece ha il suo poeta in Shelley (poeta
    più malinconico). Elena non ha figli; Maria è madre. Elena ha una cultura
    superficiale; Maria è colta e ha un’intelligenza sensibile alle cose dell’arte e
    della musica. L’unica cosa che le accomuna è la voce, che costituisce nel testo
    il primo indizio di una futura sovrapposizione.


     Nel corso della vicenda, Elena consapevolmente e Maria
    passivamente, le due donne subiscono prima un processo di radicalizzazione dei
    ruoli (Elena sempre più malvagia, Maria sempre più dolce e tenera), poi un
    processo d’identificazione che le porta dapprima alla sovrapposizione
    sentimentale ed erotica dell’una all’altra e, infine, addirittura allo scambio
    dell’una con l’altra: è il mostruoso connubio finale di cui Andrea è artefice e
    vittima e che pone fine drammaticamente a tutto il romanzo.


     


    TEMPO E SPAZIO


    La vicenda si svolge tra il 1884 e il 1887 a Roma e per un
    breve lasso di tempo nella campagna di Rovigliano, a villa Schifanoja.


     


    NARRATORE E PUNTO DI
    VISTA


    Nel Piacere, d’Annunzio delega il compito di raccontare
    gran parte della vicenda a un narratore in terza persona singolare, inoltre, nel
    capitolo quarto del libro secondo, il narratore a sua volta lascia che parte
    della vicenda venga appresa mediante il diario di un personaggio.


    Per distinguersi dal narratore, d’Annunzio fa si che il
    narratore lo citi ben due volte: una volta come un “poeta contemporaneo” che
    Sperelli predilige, e una seconda volta come autore di un “emistichio
    sentenziale” caro allo stesso personaggio.


    Questo narratore-autore è un narratore onnisciente:
    interviene a integrare il punto di vista dei personaggi, a spiegare e a
    puntualizzare; si lascia andare ad anticipazioni e a premonizioni; non esita a
    farsi avanti in prima persona per attestare la veridicità di qualcosa. Tuttavia
    l’onniscienza del narratore non gli impedisce a volte di utilizzare il punto di
    vista interno di svariati personaggi.    


    Il narratore è solito intrecciare i piani temporali,
    tagliando e saldando a suo piacere momenti diversi, anche attraverso ellissi che
    provvede poi a integrare mediante il ricorso a più o meno diffusi flashback.


    L’oggettività di partenza viene quasi sempre sopravanzata 
    e cancellata dagli interventi personali e soggettivi del narratore, che anche
    nel corso delle descrizioni si inserisce continuamente con le sue valutazioni
    personali introdotte da formule come “quasi direi”.


     


    STILE


    Il mondo raffinato ed elegante di Andrea Sperelli trova a
    livello espressivo una precisa corrispondenza nella lingua con cui viene
    descritto: una lingua preziosa e ricercata che si adatta tanto alle descrizioni
    d’ambiente cui il narratore si abbandona quanto al suo gusto per l’analisi degli
    stati d’animo dei personaggi. Infatti, le forme arcaiche e letterarie (conscienza),
    il continuo uso delle tronche di tradizione illustre (l’epansion) e,
    nell’edizione originale, la forma antiquata di articoli e preposizioni
    articolate (li) contribuiscono ad impreziosire le pagine del libro e a creare
    l’atmosfera alta e nobile che caratterizza il romanzo.


    La prosa utilizzata è ricca ed elegante ma allo stesso
    tempo allusiva, suggestiva e musicale: la lingua del romanzo perde spesso la sua
    funzione comunicativa per acquistarne una espressiva.


    Il romanzo è appiattito su un solo registro linguistico:
    quello ricercato e un po’ troppo eloquente classico del d’Annunzio di quegli
    anni.


    Lo scrittore ricorre spesso allo strumento della
    comparazione e della metafora che molte volte rende complicato o sfuocato ciò
    che dovrebbe invece chiarire e smorza i già scarsi nuclei di tensione narrativa.


    Per quanto riguarda la sintassi, è da sottolineare l’uso
    quasi esclusivo della struttura paratattica, la più adatta ad accentuare la
    tendenza alla comparazione, all’anafora e all’elencazione.


    L’utilizzo del flashback permette di evitare le situazioni
    e i passaggi più scontati e prevedibili, vitalizzando una narrazione
    generalmente statica e coinvolgendo il lettore in un gioco di collaborazione e
    di ricostruzione degli eventi.


     


    INTERPRETARE


    Nel 1889, quando il naturalismo e il positivismo sembrano
    oramai conquistare pienamente la cultura italiana e Verga pubblica in volume il
    Mastro don Gesualdo, D'Annunzio dà alle stampe il romanzo attraverso cui entra
    nella nostra letteratura il personaggio dell'eroe decadente. Così come quasi un
    secolo prima l'eroe dalle passioni sconvolgenti e assolute Jacopo Ortis aveva
    diffuso la cultura e la sensibilità romantica in Italia, ora il protagonista del
    Piacere, Andrea Sperelli, si fa propulsore e mediatore della tendenza più
    recente e raffinata della cultura decadente europea, l'estetismo. Come
    sottolineò Croce, con D'Annunzio «risuonò nella letteratura italiana una nota,
    fino ad allora estranea, sensualistica, ferina, decadente».


    Servendosi dei più svariati materiali, soprattutto francesi
    ( Baudelaire, Flaubert, Huysmans, Verlaine, Moréas, i preraffaelliti, Wagner e
    molti altri ancora ), quasi volesse costruire con la sua opera - dice Mario
    Praz- «una monumentale enciclopedia del decadentismo», D'Annunzio si propone di
    uscire dai limiti del naturalismo, non più imitando, ma continuando la natura.
    Quindi, inaugurando con Il Piacere un tipo di prosa introspettiva - psicologica
    che conoscerà in seguito notevoli favori, tenta di scandagliare le complicazioni
    e le deviazioni della vita mondana e amorosa del protagonista «ultimo
    discendente d'una razza intellettuale», educato dal padre a costruire la propria
    esistenza come «un'opera d'arte».


    Il culto dell'arte, la risoluzione della vita stessa
    nell'arte, la ricerca del bello e di tutto ciò che è prezioso nel più assoluto
    distacco da ogni convenzione morale, il disprezzo per la volgarità del mondo
    borghese, accomunano l'Andrea Sperelli di D'Annunzio al Dorian Gray di Oscar
    Wilde e al Des Esseintes di Huymans, e ne fanno la versione Italiana dell'esteta
    decadente.


    Non solo, ma 1' «anima camaleontica, mutabile, fluida,
    virtuale» di Andrea Sperelli rivela quella mancanza di autenticità , di forza
    morale e di volontà che si ritroverà in tanti personaggi decadenti,
    crepuscolari, inetti e indifferenti che affollano la letteratura del secolo
    scorso. Duplice e ambigua appare dunque questa figura in cui convivono sia il
    grandioso che il meschino; e in modo altrettanto duplice, D'Annunzio si
    immedesima e si distacca da essa.


    L'estetismo dannunziano inoltre, abbagliando ed incantando
    il lettore, trionfa nell'elencazione e nella descrizione delle opere d'arte,
    degli oggetti raffinati e preziosi di cui ama circondarsi la frivola e mondana
    Roma degli anni Ottanta, nuova capitale, centro del nuovo giornalismo e della
    nuova editoria. Non la Roma classica «dei Cesari, … degli Archi, delle Terme,
    dei Fori» - che al tempo de Il Piacere aveva il suo vate in Carducci- ma la Roma
    tardo-rinascimentale e barocca «delle Ville, delle Fontane, delle Chiese» era il
    grande amore di Andrea Sperelli. Ma da tutta quella magnificenza spira un senso
    di decadenza e di disfacimento per cui Roma sembra adagiarsi «tutta quanta d'oro
    come una città dell'Estremo Oriente, sotto un cielo quasi latteo, diafano» in
    «una primavera de' morti, grave e soave». Roma, capitale dell'estetismo, sembra
    una nuova Bisanzio, capitale del declino imperiale. E Il Piacere diviene il
    romanzo della Roma bizantina.

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