Profondo nero, dylan Dog scritto da dario Argento

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    Dario Argento che scrive un Dylan Dog.
    Un evento mai realizzato in 30 anni di storia editoriale del personaggio bonelliano eppure così naturale come conseguenza. Il Maestro dell’Incubo che per una volta prende le redini della vita dell’Indagatore dell’Incubo, quasi a chiudere una sorta di cerchio con l’originale idea di Tiziano Sclavi.

    Non riesco ad immaginare un passaggio più naturale di questo anche in considerazione delle centralità delle figure femminili – addirittura delle figure materne – sia in Dylan Dog (Mater Dolorosa, Mater Morbi e le innumerevoli amanti) che nella famosa trilogia di Argento composta da Suspiria, Inferno e La Terza Madre (con Mater Suspiriorum, Mater Tenebrarum e Mater Lacrimarum).

    Ed ecco quindi che il numero 383 della famosa testata accoglie tra le sue pagine il regista romano in qualità di autore, coadiuvato dall’amico sceneggiatore Stefano Piani, da Corrado Roi agli splendidi disegni e dall’immancabile Gigi Cavenago alla copertina… che è, manco a dirlo, argentata.

    Dopo un inizio piuttosto lento, utile a Dario Argento per prendere confidenza col personaggio di Dylan e le tante freddure di Groucho, alcune fortuite coincidenze porteranno l’inquilino di Craven Road a scoprire il mondo del BDSM (bondage, sadomaso e affini vari), durante una mostra, ed in particolare ad incontrare una bellissima e misteriosa ragazza di nome Lais, che chiederà apertamente al nostro indagatore dell’incubo di farsi frustare in una stanza apparentemente nascosta della suddetta mostra, fino al culmine del dolore e del piacere, il solo momento in cui rivelerà la parola segreta che sarà la chiave dell’intera narrazione.


    Si scoprirà ben presto che Lais è la modella BDSM oggetto delle tante fotografie della mostra e che dietro al nome che omaggia una famosa prostituta dell’antichità si nasconde una ragazza di nome Beatrix, che in men che non si dica diventerà una vera e propria ossessione per Dylan Dog.

    Ma ben presto ci accorgeremo che la vicenda è stata tutta un’allucinazione onirica e che il nostro Dylan sembra essere più confuso e spaesato che mai. Lais sembra in qualche modo chiamare l’Old Boy insinuandosi rapidamente nei suoi pensieri e desideri.

    Si scoprirà ben presto che Lais è la modella BDSM oggetto delle tante fotografie della mostra e che dietro al nome che omaggia una famosa prostituta dell’antichità si nasconde una ragazza di nome Beatrix, che in men che non si dica diventerà una vera e propria ossessione per Dylan Dog.

    Beatrix si trova nel bel mezzo di una spirale di misteri e violenza e i segni profondi che porta sulla schiena sono solo la parte più superficiale di un dramma oscuro fatto di famiglie spezzate, aristocrazia inglese decaduta, amore per il dolore (quasi a cercare un’eterna punizione) e un disperato ma composto bisogno di aiuto.





    Dylan Dog inizierà un’indagine che lo porterà a scoprire una verità che probabilmente non avrebbe immaginato, affrontando un percorso di analisi della psiche umana, arrivando a toccare con mano il confine tra amore e possesso, tra piacere e dolore, tra pentimento e malvagità.
    Le atmosfere gialle prendono il sopravvento in Profondo Nero, lasciando quasi completamente fuori dalla porta l’horror e il gore, anche nelle sequenze più violente dove scorrerà il sangue;

    Perché il soggetto e la sceneggiatura di Argento e Piani sono volte più a sfiorare certi argomenti che non ad approfondirli, senza sporcarsi le mani.

    E qui forse c’è il problema di questo volume che pur presentando una sceneggiatura funzionale (forse fin troppo lineare) non riesce ad eccellere in alcuni campi che sarebbero dovuti essere il fiore all’occhiello di un’uscita così importante: il plot di partenza è decisamente interessante, ma il trattamento è fin troppo soft e velato.

    In generale i colpi di scena non sono eclatanti, in qualche modo ci si aspetta sempre quello che andremo a scoprire nella vignetta successiva. Non si prova il brivido di paura e inquietudine nel voltare pagina come invece sarebbe lecito aspettarsi da un maestro del brivido come Dario Argento. Dylan, seppur con tutte le sue abilità, in questa storia è quasi “passivo” di fronte agli eventi e alle visioni.

    Le cicatrici di Beatrix, che hanno una storia triste e interessante a monte, non sono approfondite come mi sarebbe piaciuto.


    I veri brividi e il pathos misterioso sono dati dagli immensi disegni di Corrado Roi che riesce ad imprimere sulla carta alcuni strabilianti giochi di sguardi e a conferire un’atmosfera a volte etera e a volte cupa e decadente, sempre in linea col tono della narrazione.

    La stessa indagine, a metà tra il sogno e la realtà, non porterà a chissà quale rivelazione, ma si limiterà a sottolineare degli interrogativi sulla fragilità umana enfatizzando anche il velo di masochismo insito nel sentimento dell’amore, dato dalla consapevolezza che lo stesso comunque ci porterà a soffrire.

    I veri brividi e il pathos misterioso sono dati dagli immensi disegni di Corrado Roi che riesce ad imprimere sulla carta alcuni strabilianti giochi di sguardi e a conferire un’atmosfera a volte eterea e a volte cupa e decadente, sempre in linea col tono della narrazione.

    Gli splendidi tratti, vaporosi e nebbiosi, hanno una leggerezza davvero unica, lasciando sempre il lettore in sospeso tra le dimensioni. Se fossero musica, le matite e le chine di Corrado Roi sarebbero in questo caso un elegante e tristissimo pianoforte dei primi novecento, in una composizione malinconica ma che riesce a trasmettere anche una certa malizia e sensualità. Le forme sinuose di Beatrix si fondono con gli occhi che riescono a parlare pur senza vignette e con gli ambienti decadenti e caratterizzanti; senza alcun dubbio ci troviamo di fronte ad un piccolo capolavoro per gli occhi, capace anche di colpire nello storytelling.



    Dario Argento cerca di mantenersi su percorsi sicuri, privi di troppe curve e salite, quasi per paura di offendere in qualche modo il personaggio di Dylan Dog.

    Assieme a Piani dosa le battute e l’alternanza sogno-realtà con un ritmo quasi premeditato, non rischia nemmeno quando sarebbe ora di spingere sul pedale del BDSM andando a svelare i suoi oscuri risvolti. E scivola (forse volutamente, con un velo di sarcasmo) quando utilizza un criptex come custodia dei segreti della sfortunata protagonista, andando a citare Il Codice Da Vinci nella storia ed elevandolo a film preferito della povera Beatrix, personaggio che con un film del genere non dovrebbe avere molto a che spartire.


    Ci rimane una storia liscia, molto lineare, in cui non si aggiunge nulla di nuovo a quanto già sappiamo sull’indagatore dell’incubo e le sue fragilità, con un’ambientazione e dei presupposti sicuramente affascinanti, ma dove la parte grafica supera la storia, andando inevitabilmente un po’ a ridimensionare l’evento “Dario Argento scrive Dylan Dog”.

    Di certo però questo numero 383 della serie pone le basi per una serie di possibili interessanti collaborazioni non solo tra il regista romano e la nota casa editrice italiana, ma anche aprendo questa possibilità a diversi professionisti provenienti da ambiti diversi.
     
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0 replies since 6/8/2018, 17:27   117 views
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