The End? L'inferno fuori, recensione

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    Il cinema, i fumetti e i videogiochi, da George Romero a Robert Kirkman, passando per Resident Evil, Dead Island e Dying Light, ci hanno abituato ad affrontare invasioni zombie e pandemie di ogni tipo, pur ambientando le storie sempre in territori esotici o oltreoceano. Cosa accadrebbe invece se un terribile virus si diffondesse in una grande città europea, la nostra capitale per esempio, mettendo proprio noi italiani a rischio?
    È ciò che ha immaginato Daniele Misischia, nuovo pupillo dei Manetti Bros., che non per caso hanno prodotto il suo primo lungometraggio con la neonata casa di produzione Mompracem: The End? L'inferno fuori. L'idea alla base del progetto è estremamente semplice, uno scontroso e prepotente uomo d'affari ha un importante e fondamentale appuntamento lavorativo, fra lui e la riunione, programmata in un edificio romano, si mette però un ostacolo molto particolare: un ascensore.
    Mentre tenta di raggiungere uno degli ultimi piani del complesso, il nostro Claudio Verona rimane misteriosamente intrappolato nella stretta cabina.
    Roma fuori

    L'incipit serve da una parte a trasportare con la forza il pubblico all'interno della storia, in uno spazio vitale oppressivo, dall'altra per costruire attorno al personaggio principale un racconto avvincente, dallo sviluppo imprevedibile.
    Abbiamo parlato di un personaggio principale, e qualcuno vi dirà anche come The End? L'inferno fuori sia un One Man Show di Alessandro Roja, ma non è propriamente così: al di là di alcuni utili personaggi secondari, a prendersi buona parte della scena (anche nella nostra immaginazione) è proprio Roma, palcoscenico atipico di un'epidemia d'origine sconosciuta.
    Osservando la capitale, nel prologo, si intuisce subito che qualcosa non quadra. La notte che precede l'appuntamento d'affari del protagonista è segnata da alcuni incidenti di dubbia natura, dei quali persino i media conoscono poco o nulla. La situazione inizia a delinearsi soltanto una volta bloccati in ascensore con il protagonista Claudio il quale, dopo aver aperto con la forza uno spiraglio nella porta meccanica bloccata, ha la possibilità di vedere con i propri occhi (e noi spettatori con lui) ciò che sta avvenendo fuori.
    Nei corridoi della struttura fanno avanti e indietro delle creature spaventose, arrabbiate e affamate, tutti ex colleghi del Nostro, che infatti li riconosce con sgomento attraverso i segni di un disastro chimico e batteriologico evidente. Pur sembrando a prima vista degli zombie, è più corretto chiamare questi "mostri" infetti, con caratteristiche differenti dai classici morti viventi.
    Di zombie ne esistono certo diverse incarnazioni, solitamente però procedono con movimenti lenti e non hanno molte funzioni intellettive; gli infetti romani sono schegge impazzite, corrono, attaccano al primo rumore che percepiscono, hanno occhi accesi e morsi letali, attraverso cui diffondono la piaga, come tradizione.
    Questo particolare rende ancora più tragica l'epopea del nostro "non-eroe per caso", che per sopravvivere dovrà uccidere amici, colleghi e amanti a colpi di spranga, compiendo un percorso di "crescita" non indifferente.
    Il ruolo dell'immaginazione

    The End? L'inferno fuori non mette in scena uno sterile spettacolo splatter come si potrebbe immaginare, al contrario pone il suo protagonista davanti a delle scelte e - soprattutto - alla sua piccolezza al cospetto della vita, della morte e del mondo.
    Se inizialmente il nostro giovane rampante e in carriera crede di essere onnipotente, permettendosi di maltrattare i sottoposti e la stessa moglie (di cui sentiremo soltanto la voce attraverso il telefono più volte lungo la storia), nel finale il suo animo sarà completamente cambiato dall'esperienza, meno presuntuoso e più disponibile ad ascoltare gli altri, non solo se stesso.
    Daniele Misischia, che ha sviluppato l'idea di base lavorando diversi anni sulla sceneggiatura, ha deciso di raccontare tutto questo mostrando l'essenziale e lasciando all'immaginazione buona parte dell'impianto scenico. Un espediente funzionale che gli ha permesso non solo di limitare il budget, ma anche di rendere il pubblico parte attiva della narrazione, chiamato più volte a completare il quadro con il pensiero.
    Al netto delle decine e decine di citazioni del cinema di genere più classico, il regista sceglie deliberatamente di chiudersi all'interno di un ascensore, omaggiando implicitamente proprio quel Piano 17 girato nel 2005 dai Manetti Bros. Un espediente che in parte limita la libertà della macchina da presa, fianco a fianco con il protagonista per la maggior parte del minutaggio, ma che crea aspettative imprevedibili rispetto a ciò che può accadere fuori, oppressione e un senso di attesa snervante, tutta linfa preziosa per la narrazione.
    Certo formalmente non ci troviamo di fronte a un'opera di Stanley Kubrick o Paul Thomas Anderson, l'impianto scenico è molto basilare, gli effetti visivi sono ridotti all'osso, ma tutto ha un senso e una sua funzione. Come nel cinema di genere più tradizionale (e di stampo italiano, soprattutto), la paura spetta alle situazioni paradossali e al trucco vecchio stile, con attori/infetti abbastanza convincenti e ben realizzati.

    Forse avremmo preferito ancor più sangue e una sceneggiatura leggermente più asciutta, Daniele Misischia ha comunque saputo dare al racconto una buona dose di realismo, fra armi che rinculano a dovere e un protagonista che si sporca dalla testa ai piedi (più si imbratta esteriormente, più si purifica interiormente), che sarebbe bello rivedere in un sequel - sempre che riesca a sopravvivere in una Roma a ferro, virus e fuoco.

    The End? L'inferno fuori Daniele Misischia, per anni aiuto regia dei Manetti Bros., esordisce dietro la macchina da presa confezionando un horror essenziale, vecchio stile, che lascia molto spazio di manovra all’immaginazione dello spettatore. La narrazione di The End? L’inferno fuori si sviluppa infatti per la maggior parte del tempo all’interno di un ascensore opprimente, con il pubblico messo alla pari del protagonista Claudio Verona/Alessandro Roja, che compie un percorso di (semi) redenzione minuto dopo minuto. A pochi metri (talvolta centimetri) da lui ci sono orde di infetti, tutti ex colleghi/amici/amanti trasformati ora in mostri assassini e famelici, da uccidere senza pietà per sopravvivere. Fuori, una Roma fumante, che cade a pezzi e fa capolino fra una citazione e l’altra, lasciandosi accarezzare da un profumo di sequel che non guasterebbe affatto. Chissà un giorno.
     
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