Quando The Doors trasformarono la Fine e l’Apocalisse in Arte

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    La “fine” non è un tema di cui parliamo volentieri. La fine allude alla morte, alla conclusione definitiva di qualcosa, ed è sempre dolorosa. Si potrebbe parlare della fine di un amore, di un’amicizia, di una fase della vita o della vita stessa. In genere, ha un suono troppo definitivo perché possa piacere all’Uomo che è fatto di infinite possibilità. C’è però chi ha innalzato un canto atavico ed esaltante per “la fine”: Jim Morrison.

    Beautiful Friend

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    Jim Morrison fu leader di una delle band più trasgressive del panorama rock degli anni Sessanta-Settanta, The Doors. Morto giovane, troppo giovane (aveva appena 27 anni), nella sua breve carriera ci ha consegnato dei pezzi che possono definirsi più poesia che musica. La sua voce era roca, avvolgente, forse neppure intonata ma assolutamente magica. Non potevi fare a meno di ascoltarlo.

    Jim amava definirsi poeta, più che cantante, e scrisse personalmente i brani per la sua band. Uno dei più noti, forse il più noto in assoluto, è “The End”. Anche chi non conosce l’inglese sa cosa vogliono dire queste due brevi parole, perché comparivano sempre al termine di un film: the end, la fine.

    Tutti i brani di Jim erano astrusi, spesso incomprensibili, perché carichi di richiami letterari, ma The End è certo quello che si presta alla più svariata gamma di interpretazioni. Forse solo una, la più semplice, non è mai stata considerata. La canzone è un inno alla fine, alla morte, considerata la porta che conduce oltre, alla comprensione che in questa fase dell’esistenza ci è negata.

    The Killer Awoke before Dawn



    Ai Doors piaceva scandalizzare: era epoca di ribellione e contestazione. The End fu scritta nel 1966 dopo che Jim l’aveva interpretata innumerevoli volte: cambiava ogni volta il testo. C’è una parte che è quella più controversa, un recitativo in cui si narra di un “assassino” che si sveglia prima dell’alba, visita sua sorella e suo fratello, dice a suo padre che desidera ucciderlo, e a sua madre che vuole possederla.

    Le parole esatte, “mother, I want to fuck you” (madre, voglio fotterti) spesso venivano censurate; nella versione incisa non ci sono. Tutti i commentatori così si focalizzano sull’espressione del complesso edipico, e sulla “fine” come liberazione da uno stato infantile dell’esistenza per raggiungere l’età adulta.

    Jim la semplificò ancora di più, dicendo che aveva iniziato a scrivere The End riferendosi alla fine di un amore (banale). Francis Ford Coppola fece di questo brano il leit motiv di “Apocalypse Now”, il suo film-inno contro la guerra del Vietnam. Per questo si disse che The End era una canzone contro la guerra.
    My only friend, the end

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    Jim Morrison amava autodefinirsi uno “sciamano“, che voleva condurre con i suoni e le parole il suo pubblico oltre le “Porte della Percezione” (da cui il nome del gruppo, The Doors, le porte). The End, ad ascoltarla, sembra più una nenia che una canzone rock; infatti ricalca certe musiche indiane suonate con il sitar.

    Non possiamo equivocare nè indorare la pillola: la fine di cui si parla è la morte, “la” fine per eccellenza. Ma, ben lungi dall’esserne un’esaltazione, essa nè è piuttosto una celebrazione, come in un antico rituale. La morte è un’amica, l’unica amica: a ben pensarci, è con lei che dovremo fare i conti, presto o tardi, e sarà l’ultima a visitarci.



    Ma questo pensiero non è angosciante, nè incute timore: è piacevole, e non perchè conduca al termine di una vita di sofferenze, ma perché è un viaggio che corre lungo la “king’s highway”. La morte è una curva della strada, non la sua fine definitiva: ma solo se la si accoglie come tale la si può oltrepassare con successo per passare “oltre”.

    Riscoprendo la saggezza dei popoli antichi, quella a cui si appella definendosi “sciamano”, l’artista rifiuta l’ansia della bellezza eterna e della vita eterna, chiedendo solo di poter ritrovare il suo “volto” nella “galleria degli antenati”. L’identità con se stessi, la completezza nel proprio essere è il premio che solo un’amica speciale ci può dare. The End.




    La “fine” non è un tema di cui parliamo volentieri. La fine allude alla morte, alla conclusione definitiva di qualcosa, ed è sempre dolorosa. Si potrebbe parlare della fine di un amore, di un’amicizia, di una fase della vita o della vita stessa. In genere, ha un suono troppo definitivo perché possa piacere all’Uomo che è fatto di infinite possibilità. C’è però chi ha innalzato un canto atavico ed esaltante per “la fine”: Jim Morrison.


    The Killer Awoke before Dawn

    Ai Doors piaceva scandalizzare: era epoca di ribellione e contestazione. The End fu scritta nel 1966 dopo che Jim l’aveva interpretata innumerevoli volte: cambiava ogni volta il testo. C’è una parte che è quella più controversa, un recitativo in cui si narra di un “assassino” che si sveglia prima dell’alba, visita sua sorella e suo fratello, dice a suo padre che desidera ucciderlo, e a sua madre che vuole possederla.

    Le parole esatte, “mother, I want to fuck you” (madre, voglio fotterti) spesso venivano censurate; nella versione incisa non ci sono. Tutti i commentatori così si focalizzano sull’espressione del complesso edipico, e sulla “fine” come liberazione da uno stato infantile dell’esistenza per raggiungere l’età adulta.

    Jim la semplificò ancora di più, dicendo che aveva iniziato a scrivere The End riferendosi alla fine di un amore (banale). Francis Ford Coppola fece di questo brano il leit motiv di “Apocalypse Now”, il suo film-inno contro la guerra del Vietnam. Per questo si disse che The End era una canzone contro la guerra.
    My only friend, the end


    Jim Morrison amava autodefinirsi uno “sciamano“, che voleva condurre con i suoni e le parole il suo pubblico oltre le “Porte della Percezione” (da cui il nome del gruppo, The Doors, le porte). The End, ad ascoltarla, sembra più una nenia che una canzone rock; infatti ricalca certe musiche indiane suonate con il sitar.

    Non possiamo equivocare nè indorare la pillola: la fine di cui si parla è la morte, “la” fine per eccellenza. Ma, ben lungi dall’esserne un’esaltazione, essa nè è piuttosto una celebrazione, come in un antico rituale. La morte è un’amica, l’unica amica: a ben pensarci, è con lei che dovremo fare i conti, presto o tardi, e sarà l’ultima a visitarci.



    Ma questo pensiero non è angosciante, nè incute timore: è piacevole, e non perchè conduca al termine di una vita di sofferenze, ma perché è un viaggio che corre lungo la “king’s highway”. La morte è una curva della strada, non la sua fine definitiva: ma solo se la si accoglie come tale la si può oltrepassare con successo per passare “oltre”.

    Riscoprendo la saggezza dei popoli antichi, quella a cui si appella definendosi “sciamano”, l’artista rifiuta l’ansia della bellezza eterna e della vita eterna, chiedendo solo di poter ritrovare il suo “volto” nella “galleria degli antenati”. L’identità con se stessi, la completezza nel proprio essere è il premio che solo un’amica speciale ci può dare. The End.

    The end of Night we tried to Die

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    La “fine” non è un tema di cui parliamo volentieri. La fine allude alla morte, alla conclusione definitiva di qualcosa, ed è sempre dolorosa. Si potrebbe parlare della fine di un amore, di un’amicizia, di una fase della vita o della vita stessa. In genere, ha un suono troppo definitivo perché possa piacere all’Uomo che è fatto di infinite possibilità. C’è però chi ha innalzato un canto atavico ed esaltante per “la fine”: Jim Morrison.



    The_End_Morrison

    Jim Morrison amava autodefinirsi uno “sciamano“, che voleva condurre con i suoni e le parole il suo pubblico oltre le “Porte della Percezione” (da cui il nome del gruppo, The Doors, le porte). The End, ad ascoltarla, sembra più una nenia che una canzone rock; infatti ricalca certe musiche indiane suonate con il sitar.

    Non possiamo equivocare nè indorare la pillola: la fine di cui si parla è la morte, “la” fine per eccellenza. Ma, ben lungi dall’esserne un’esaltazione, essa nè è piuttosto una celebrazione, come in un antico rituale. La morte è un’amica, l’unica amica: a ben pensarci, è con lei che dovremo fare i conti, presto o tardi, e sarà l’ultima a visitarci.


    Ma questo pensiero non è angosciante, nè incute timore: è piacevole, e non perchè conduca al termine di una vita di sofferenze, ma perché è un viaggio che corre lungo la “king’s highway”. La morte è una curva della strada, non la sua fine definitiva: ma solo se la si accoglie come tale la si può oltrepassare con successo per passare “oltre”.

    Riscoprendo la saggezza dei popoli antichi, quella a cui si appella definendosi “sciamano”, l’artista rifiuta l’ansia della bellezza eterna e della vita eterna, chiedendo solo di poter ritrovare il suo “volto” nella “galleria degli antenati”. L’identità con se stessi, la completezza nel proprio essere è il premio che solo un’amica speciale ci può dare. The End.
    The end of Night we tried to Die

    The_Doors_The_End

    Uno degli ultimi versi della canzone (che dura ben 11 minuti) dice “la fine della notte in cui abbiamo cercato di morire”. La fine è dunque un risveglio, il ritorno alla vita che si è a lungo rinnegata, alla Vera Vita. E l’artista, il poeta, il cantante, il visionario, è l’unico in grado di vedere prima degli altri e di indicare la strada.

    Così l’Apocalisse non è la fine tragica né un evento catastrofico: è la rinascita splendente della Fenice che risorge con forme diverse, ma dalla sua stessa sostanza. Non avere paura, dice l’artista

    Come on, baby, take a chance with us

    "Avanti, tesoro, prenditi la tua opportunità insieme a noi"

    non accontentarti, osa sempre. Il peggio che ti può capitare è “The End”, che non è poi così orribile come sembra.
     
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