40 anni moriva Sid Vicious

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    Non potete ritenervi veri punk e allo stesso tempo dichiaravi fan dei Sex Pistols. E’ un evidente cortocircuito mentale. Se pensate il contrario, beh siete dei cedroni raggirati da un duo di sarti londinesi.
    Sid Vicious, nome d’arte di John Ritchie, ci ha lasciati 40 anni fa, tra le più illustri vittime sacrificali alla Macchina dello Spettacolo…e se lo considerate un’icona, piuttosto che un martire, avete pure voi le mani sporche di sangue.

    Siete convinti che i Sex Pistols abbiano inventato il punk? Babbi. Negli Stati Uniti avevano già Stooges, Alice Cooper e Ramones. Diamine, l’inventore dei Sex Pistols aveva già provato a fare la stessa cosa, senza successo, con i New York Dolls. L’inventore, sì, perché tutto il baraccone da circo fu un idea del famigerato Malcom McLaren, in combutta con Vivienne Westwood (sì, la Vivienne Westwood di cui leggete su Vanity Fair). I due vendevano vestiti in zona Chelsea, cercando di cavalcare l’onda di mode passeggere come il ritorno dei Teddy Boys anni ’50 o i rocker anni ’60. Gli amici dicono di loro: «Malcolm e Vivienne erano veramente degli imbroglioni. Avrebbero venduto qualsiasi cosa per guadagnare». Rapinarono il look di Jordan, una ragazzina impiegata da loro come commessa, e si reinventarono architetti del punk e autori di abiti di scena, in un negozio al limite del sexy shop chiamato SEX.

    McLaren assemblò la band ne più ne meno che come una boyband, pescando tra avventori e dipendenti stessi del negozio. Steve Jones sapeva a malapena suonare la chitarra. John Lydon fu portato a bordo e rinominato Johnny Rotten perché indossava una maglietta dei Pink Floyd con scritto a mano IO ODIO (i Pink Floyd). Lui amò così tanto l’esperienza punk da allontanarsene il più possibile, successivamente, con i PiL. Glenn Matlock, il bassista, unico in grado di suonare per davvero e scrivere un brano, fu mandato via una volta composto il materiale del disco perché considerato “troppo tranquillo”.

    Entra in scena Sid Vicious (battezzato così come il criceto di Johnny Rotten), ragazzino che cazzeggiava nella scena, già adocchiato ai tempi dalla Westwood per essere il cantante (“Prendete il John, quello che è venuto qui un paio di volte” disse lei, ma McLaren pescò il John sbagliato). Sid, ne più ne meno un poster boy, un bel faccino, un ragazzo sperduto che Vivienne iniziò a foraggiare e deviare a colpi di controcultura (tipo introducendolo a Charles Manson) e droghe (pronti via fu subito schiavo dell’eroina).

    Sid non era capace di suonare il basso, manco Lemmy dei Motorhead fu in grado di insegnarli due note. Si beccò l’epatite prima di registrare il disco di debutto e i suoi unici contributi furono così inutili da venire eliminati direttamente. Era quel tipo di ragazzo che c’è in parecchie compagnie e tutti hanno incrociato almeno una volta a scuola o all’oratorio o dove volete: il macaco.

    Potrà anche essere un termine infelice nei nostri tempi di politically corretness, ma con quello strafalcione, almeno dalle mie parti, negli anni ’70-’80-’90 si indicava quello che faceva casino fine a sé stesso in maniera volgare e insensata. Tipo urlare come un matto, ridere tutto il tempo come un cretino e bestemmiare in faccia alla suora tanto per dare fastidio. Quel livello. E Sid era così. Vedi indossare svastiche (mai una scelta vincente, soprattutto nell’Inghilterra degli anni ’70).

    Tanto per rimanere in tema, il suo UNICO contributo artistico fu quella robaccia di Belsen is a Gas (per i non anglofoni: un gioco di parole tra il campo di concentramento, il gasare gli ebrei e il termine ‘gas’ che per gli inglesi è sinonimo di figata, vedi i Rolling Stones di “I’m Jumpin’ Jack Flash it’s a gas gas gas”). Un ragazzetto travolto dal branco, che assimilò le peggio cose e che si trovò al centro di un vortice mediatico e di successo inaspettato. Pessimo mix.

    Cresciuto senza figure di riferimento, adottato da quella famiglia disfunzionale, il giovane Sid trovo nella fama e nel successo la droga più letale. E come la scimmietta, ballava e suonava il piattino per stare al tempo della musica dettata dallo showbiz. Più si comportava in maniera distruttiva, più veniva riconosciuto, più alzava il livello. Eccoci alle risse ai concerti, al tirare il basso in testa alla gente, all’automutilazione (la celebre scritta “datemi una pera”, incisa sul petto).

    Il colpo finale fu finire tra le grinfie di Nancy Splugen, groupie professionista (per usare un eufemismo), drogata da competizione e mitomane senza speranza. Una figura così forte e polarizzante poteva solo essere un catalizzatore negativo per l’infantile e sentimentalmente sprovveduto Vicious. I due presto caddero in una spirale autodistruttiva buona solo per i tabloid.

    I Sex Pistols già sgretolati pubblicarono La Grande Truffa del Rock n’ Roll (mai titolo fu più appropriato) dove Sid canta su tre pezzi come Come on Everybody, in un tentativo abortito di farlo frontman. Sid & Nancy si stabilirono quindi negli Stati Uniti, dove evidentemente un pubblico nutrito non vedeva l’ora di essere insultato da Sid e sentirlo cantare My Way.

    Il tutto durò poco, fino al terribile 12 Ottobre 1978, quando dopo una notte di droga dei due si risvegliò solo Sid. Nancy fu trovata morta per una coltellata all’addome, coltello da gang di proprietà di Sid. La verità non fu mai scoperta. La uccise Sid? Fu un incidente durante una colluttazione? Fu lei ad autoinfliggersi la ferita credendo che Sid potesse salvarla? Se il vostro interesse è morboso, ci hanno fatto pure un film con Gary Oldman.

    Sid non farà in tempo a raccontare la sua versione dei fatti. Unico indagato, fuori su cauzione, pensò bene di menare il fratello di Patti Smith in un locale, finendo di nuovo al gabbio e sottoposto ad una durissima disintossicazione (immagino che una prigione americana non sia il luogo più clemente per affrontare un ciclo di metadone).

    Uscito di nuovo su cauzione (si mormora regalo di Mick Jagger), sobrio, lucido, pensò bene di festeggiare a Manhattan con il suo giro di amici. Morirà nella notte di overdose di eroina, il classico ‘pezzettino e via’ che credi di poterti fare quando sei in un ciclo di riabilitazione, e che ti frega (morirà così anche Amy Winehouse).

    Ci ha lasciato così, a soli 21 anni, una delle più famigerate vittime dello showbiz. Un ragazzetto senza capacità artistiche, senza una direzione, senza una vera famiglia. Ma che è stato un boccone prelibato per il sistema e per gli affamati di sensazionalismo.

     
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