SR 10 il caccia russo con le ali al contrario

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    gli attuali SR-10 montano infatti l’ormai piuttosto anziana doppia turboventola di produzione ucraina Ivchenko AI-25, originariamente concepita per trimotori adibiti al trasporto di passeggeri. Mentre l’ipotesi futura di un modello prodotto in serie vedrebbe l’impiego dell’alternativa russa Saturn AL-55, già impiegata con successo nell’addestratore aeronautico dal massimo grado di sofisticazione Yak-130, sostanzialmente indistinguibile da un aereo da attacco leggero contemporaneo. Eppur mantenendo, secondo gli studi di fattibilità mostrati, un costo per ora di volo di “appena” 170.000 rubli (circa 2.197 euro) contro gli oltre 544.000 dell’alternativa tecnologicamente qui citata. E ciò nonostante la capacità di mantenere un assetto di volo, per quanto caratteristico, paragonabile dal punto di vista prestazionale e delle difficoltà affrontate dal pilota alle ultime creazioni militarmente utili delle serie MiG e Sukhoi-(n). Principalmente grazie all’impiego delle ali a freccia inversa, o freccia negativa che dir si voglia: un approccio progettuale che permette, senza colpo ferire, di concentrare gli eventuali vortici causati da un’inizio di stallo nella parte più larga e posteriore dell’ala, ben lontano dalle superfici di volo. Il che garantisce un aereo capace di reagire positivamente alle situazioni di volo più estreme, pur mantenendo un assetto inerentemente instabile e proprio per questo, più maneggevole. La principale ragione per cui, d’altra parte, i velivoli con questa configurazione non hanno avuto modo di prendere piede fino all’epoca moderna, è da ricercarsi nella problematica tendenza degli angoli d’incidenza e virata più arditi ad aumentare, piuttosto che ridurre la portata aerodinamica delle ali. Il che le avrebbe portate, in condizioni normali, a spezzarsi quasi immediatamente. Se non fosse stato per l’approccio originario, percorso in epoca sperimentale tedesca nel modello di bombardiere mai uscito dallo stato progettuale del Junkers Ju 287 del 1944, di costruire le ali con materiali altamente resistenti, il che fu giudicato ridurre comunque in maniera eccessiva le prestazioni dell’aereo. Finché all’altro capo dell’Atlantico, a un gruppo d’ingegneri della NASA statunitense, non venne in mente l’idea di realizzare uno di questi apparecchi con il nuovo tipo di materiali compositi offerti dalla scienza, capaci di garantire alla struttura del velivolo non soltanto il massimo grado di resistenza, ma anche l’elasticità necessaria a sfuggire a questa trappola potenzialmente rovinosa. Il risultato sarebbe stato il notevole X-37, un aereo la cui storia assai particolare meriterà in futuro, assai probabilmente, un articolo altrettanto approfondito. Altro aereo con ali a freccia invertita degno di nota è il Nakajima Ki-43 “Hayabusa” giapponese della seconda guerra mondiale, con un’inclinazione delle stesse comunque talmente limitata da essere appena apprezzabile durante il volo. Tali caccia, ad ogni modo, diedero non pochi pensieri alle forze americane, che dovettero affrontare la loro notevole leggerezza e capacità superiore di manovra.

    Sembra effettivamente strano affermare come l’attuale scenario di progettazione aeronautica ricerchi inerentemente il minor grado possibile di stabilità aerodinamica per i suoi modelli più avanzati e moderni, causando in via ipotetica degli enormi problemi a chiunque debba successivamente trovarsi ai comandi. Eppur questo avviene perché, da che è stato inventato il sistema di controllo identificato comunemente con la dicitura anglofona fly-by-wire, nessun essere umano ha più impugnato letteralmente gli alettoni e le altre superfici di volo di un jet militare di alto livello. Lasciando le minute correzioni, al limite della frazione di secondo, agli affidabili computer e i sofisticati sensori di bordo.
    Non possiamo che interrogarci, in forza di questo, in merito al tipo di dotazione dei sistemi presenti sul comunque non eccessivamente costoso SR-10. Possibile che l’aereo in questione nella sua forma di prototipo, proprio per presentare un presupposto d’addestramento sufficientemente avanzato, offrisse assistenze al futuro guerriero dei cieli dalla mano troppo leggera… E sia stato giudicato in funzione di ciò “troppo pericoloso” per la distribuzione presso le principali basi militari russe?
    Fatto sta che gli enti militari preposti, con un colpo di scena certamente non bene accolto presso gli uffici di via Kolokolnikov, hanno annunciato verso la fine dell’anno scorso di aver ridirezionato i fondi a vantaggio della proposta concorrente della
    Yakovlev, l’addestratore basico con tradizionale motore ad elica Yak-152. Un aereo che di sicuro non farà voltare lo stesso numero di teste, né potrà offrire lo stesso palcoscenico prestazionale. Ma qualche volta bisogna chiedersi, come sappiamo fin troppo bene, se ci si trovi in un momento adatto a farsi fautori di un significativo balzo d’innovazione. Mentre altre, non resta che gettarsi all’interno del vasto potenziale quanto vasto baratro degli ingegneri disallineati dal coro, così efficacemente esemplificato dal celebre motto popolare russo: “Avevamo cercato di fare il meglio. Ma alla fine, è andata così.”
     
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