La partita di Sarnano del 1944 tra nazisti e partigiani

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    Nessuno sa cosa pensò l’arbitro di calcio Mario Maurelli quando, nella sua Sarnano, in provincia di Macerata, gli bussarono alla porta dei tedeschi in divisa militare, in un giorno qualsiasi del 1944. Possiamo ipotizzare con una buona dose di sicurezza che nella mente di Mario sia comparso il volto del fratello Mimmo, partigiano nascosto nei boschi circostanti, e con altrettanta sicurezza possiamo immaginare che non si aspettasse la richiesta di un sergente di organizzare una partita di calcio tra tedeschi e partigiani. I tedeschi volevano tener su il morale, e dicevano anche di voler evitare ulteriori rappresaglie nei confronti degli abitanti del borgo, che già erano state evitate poco tempo prima, solo perché il responsabile dell’uccisione di alcuni tedeschi si era consegnato spontaneamente.
    Se Mario non avesse diretto l’incontro, e se Mimmo (che quindi c’entrava eccome) non avesse fatto da tramite per formare una squadra, i tedeschi avrebbero messo mano alle armi, promettendo invece, in caso di buona riuscita dell’incontro, la libertà per i partecipanti. Bisognava scegliere tra la morte certa e il rischio di un tradimento tedesco, e i partigiani scelsero di rischiare: il 1° aprile del 1944, a Sarnano, undici partigiani scendono in campo di fronte a undici soldati tedeschi, agli ordini dell’arbitro Maurelli.
    In campo si vede chi è abituato a correre e chi a marciare, e quella che rimane probabilmente l’unica rappresentativa di partigiani italiani mai presentatasi su un campo di calcio impiega solo 10 minuti per buttare il pallone alle spalle del portiere tedesco. 1 a 0. Adesso però i partigiani giocano con la paura di vincere: sanno che i soldati del Reich non apprezzano molto essere sconfitti, e non riescono o non vogliono chiudere il conto.
    Anzi, a cinque minuti dalla fine dell’incontro chi si prende la responsabilità della situazione è un difensore partigiano, che di nome fa – e non poteva essere altrimenti – Libero.
    Libero decide di far finta di scivolare, e il campo si apre davanti all’attaccante tedesco, che non deve far altro che segnare il punto del pareggio. L’arbitro Maurelli ora può fischiare tre volte con il cuore un po’ più leggero: probabilmente aver subito il pareggio equivale ad una vittoria inestimabile; di scontato però non può esserci niente, e infatti, come se la partita non fosse finita, gli undici partigiani continuano a correre, ma fuori dal campo, verso le loro montagne, dove riprenderanno la loro lotta, liberi come il loro difensore, che insieme alla sua squadra aveva scelto, solo per questa volta, di non vincere contro l’esercito tedesco.

    Fonte: Cannibali e Re, cronache ribelli
     
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