Come sarà la scuola senza il compagno di banco?

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    La scuola a settembre sarà diversa da quella che i ragazzi hanno conosciuto finora. I pro e i contro analizzati con un'esperta di psicologia e formazione



    «Se chiedete a un bambino o a un adolescente se gli manca la scuola o cosa gli manca di più, quasi sicuramente vi dirà che gli mancano i suoi compagni, i momenti di gioco o di ricreazione con loro. La scuola si fonda sull’interazione, non solo fra insegnanti e alunni, ma anche fra compagni di classe, ovvero fra pari». È la prima risposta di Maria Cristina Matteucci, professoressa associata in Psicologia dello sviluppo e dell’educazione, all’Università di Bologna a una domanda sulla scuola che verrà: come sarà non avere un compagno di banco?

    La speranza di genitori, insegnanti e alunni è che la scuola, l’anno prossimo, torni a essere in presenza.

    Non sarà però la scuola di prima. Sarà una scuola con banchi distanziati e classi probabilmente divise. È difficile anche solo immaginarla spiega la professoressa. «Quello che noi sappiamo è l’importanza del gruppo dei pari, ovvero dei coetanei, sia nel processo di apprendimento, sia nel processo di sviluppo socio-emotivo. Si potrebbe partire dalle Indicazioni Nazionali emanate dal Ministero che parlano di una “relazione personale significativa tra pari” come condizione essenziale per pensare, fare ed agire, e della collaborazione fra allievi e dell’amicizia come punti fondamentali nella scuola primaria».

    È l’amicizia il sentimento chiave, il rapporto che nasce sui banchi di scuola. «La relazione con l’amico permette il confronto sociale e quindi la capacità di mettersi in prospettiva rispetto agli altri, è una fonte fondamentale di supporto pratico e psicologico (soprattutto durante l’adolescenza), e ci permette di sviluppare la percezione di essere individui competenti, che possiedono delle qualità positive». Tutti hanno un compagno o una compagna di banco che è stato o stata sostegno e confidente. «Anche i risultati scientifici dicono che la percezione di avere delle relazioni positive con i propri compagni di classe e di avere il loro sostengo, oltre che quello degli insegnanti, può avere una profonda influenza sul benessere e sull’ambientamento positivo in generale a scuola».

    Quello con il compagno di banco è rapporto simmetrico e reciproco, di accordi e disaccordi, che permette di acquisire anche la capacità di assumere la prospettiva altrui. «È necessario evitare che il distanziamento “fisico” diventi un distanziamento “sociale”, supportando le famiglie e gli alunni in questa situazione, incoraggiando e favorendo il più possibile modalità alternative di socializzazione di interazione a distanza. Gli insegnanti dovrebbero essere formati affinché siano in grado di monitorare gli alunni e identificare quelli che provano particolare difficoltà al rientro a scuola e siano in grado di supportarli in questa situazione di stress. Necessiterebbero anche di una formazione che li metta in grado di fare una didattica innovativa».

    Alcune immagini che circolano in questi giorni mostrano alunni in aula in banchi distanziati, mascherine sul viso e cappelli con le ali che permettono di mantenere la distanza fisica fra bambini già a scuola in altri paesi. Le indicazioni prevedono il divieto di scambi di oggetti e pause seduti al banco. È un distanziamento fisico che, ancora una volta, non deve essere confuso con quello sociale. «La cooperazione e l’interazione non necessitano forzatamente di vicinanza fisica, quanto di vicinanza emotiva, di condivisione di obiettivi e di attività da realizzare con il contributo di più persone. Le attività da svolgere in interazione devono essere ripensate affinché si svolgano nel rispetto della distanza fisica, consapevoli che il supporto emotivo e la condivisione non passano forzatamente per una stretta vicinanza fisica».

    Le scuole che hanno riaperto, in Francia, ad esempio, stanno sperimentando una modalità di fare scuola che ruota attorno a stringenti protocolli sanitari. La parola sembra l’unico mezzo per interagire, dove non ci sono gruppi di sostegno o apprendimento cooperativo. «Questa scuola “all’antica”, fatta di lezioni frontali da parte dell’insegnante e attività individuali dell’alunno, è la prima risposta ad una situazione di emergenza; la sfida sarà trovare nuove modalità per creare e rinforzare quei legami emotivi e supportivi di cui è fatto il rapporto fra compagni di classe e fra insegnante e alunni» spiega la professoressa che è Responsabile del Laboratorio di ricerca SEFoRA del Dipartimento di Psicologia e membro del Centro di Ricerca Educativa sulla professionalità dell’Insegnante Crespi.

    È la scuola che deve cambiare e adattarsi facendo sentire i ragazzi vicini negli obiettivi ed emotivamente, anche se distanziati fisicamente. Le classi meno numerose potrebbero poi essere un vantaggio. «Alcuni studi hanno mostrato un effetto positivo delle classi a bassa numerosità sull’apprendimento degli alunni con maggiori difficoltà, a condizione che gli insegnanti siano in grado di attivare strategie didattiche che sfruttino tale numerosità».

    Anche l’OCSE, l’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico, nelle linee guida emanate per organizzare la risposta educativa alla pandemia, suggerisce come uno dei punti chiavi la necessità di «migliorare la comunicazione e la collaborazione tra gli studenti per favorire l’apprendimento e il benessere» e indica come priorità fondamentale delle scuole, seconda solo al sostegno dell’apprendimento, il benessere degli studenti, da perseguire attraverso il mantenimento di relazioni sociali efficaci tra studenti e con gli insegnanti. Per farlo da distanti serve attivare modalità innovative e originali, sfruttando tutto il potenziale delle nuove tecnologie e dei canali di comunicazione a disposizione. «Facendo una particolare attenzione a non “lasciare indietro” nessuno, in particolare quei bambini e adolescenti che provengono da contesti svantaggiati e che potrebbero non avere la possibilità e le risorse per stare al passo».

    Le prime ricerche fatte sulla scuola a distanza dicono che gli studenti sono rimasti soddisfatti dell’esperienza, tranne che per la mancanza di relazioni con i pari e per l’assenza di attività extra-curriculari. In una ricerca su studenti universitari ci si è chiesti come il COVID-19 abbia colpito le reti sociali tra gli studenti e in che modo i cambiamenti nelle relazioni sociale e nella vita quotidiana abbiano inciso sul benessere psicologico. «I risultati mostrano che, nel complesso, la maggior parte degli studenti è rimasta ben integrata dopo due settimane di distanziamento fisico e se l’interazione faccia a faccia era impossibile, la comunicazione digitale era molto comune. Alcuni individui sembrano maggiormente a rischio di rimanere isolati, si tratta di quegli studenti che hanno già una condizione di partenza di maggior isolamento e minor supporto sociale».

    Le priorità per la riapertura della scuola che sono state date dall’UNICEF, dall’UNESCO e dalla International Task Force on Teachers for Education 2030 dicono di dare la precedenza al supporto al benessere fisico, psicologico ed emotivo di insegnanti, alunni e studenti rispetto agli obblighi scolastici, e adottare un approccio flessibile all’insegnamento. È necessario garantire la disponibilità di risorse affinché gli insegnanti possano ricevere supporto psicologico e socio-emotivo e formare i dirigenti scolastici e gli insegnanti per riconoscere segni di disagio sia del personale sia degli studenti.

    «In questo panorama», conclude la professoressa membro e ambassador per l’Italia dell’International School Psychology Association, «emerge come imprescindibile la figura di uno psicologo che sia un professionista del contesto scolastico. Gli psicologi scolastici sono professionisti in grado di intervenire nei contesti scolastico-educativi a supporto del benessere di alunni, famiglie, insegnanti e staff della scuola, affinché la scuola sia vissuta come un luogo sicuro e supportivo. Anche la formazione degli insegnanti deve essere pianifica e realizzata in preparazione al rientro a scuola e, a tale scopo, è fondamentale la collaborazione con centri universitari specializzati nella formazione degli insegnanti che, in accordo con scuole e insegnanti, possono realizzare percorsi formativi di alto livello per rispondere alle attuali ed emergenti esigenze».
     
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