Sindrome da idrocuzione: conoscerla può salvarti la vita

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    Un articolo redatto dall dottor Riccardo Ristori, ci spiega perchè è importante non entrare in acqua a certe condizioni.

    Giustamente scrivono: i ragazzi oggi non sanno cos’è la sindrome da idrocuzione. E fortunatamente rispondo io! Purtroppo ce lo spiegano: se passi due ore al sole, ti sei fatto un kebab appena uscito da scuola e magari sotto al sole hai anche fatto due tiri a calcio, NON DEVI entrare in acqua. Specialmente evita di fare tuffi!

    Il tuo corpo è a 37/39°C e l’acqua del mare, o peggio di lago e fiume, non supera probabilmente i 18. Il cervello riceve un sovrastimolo che crea uno shutdown del sistema. La respirazione si ferma, si sviene e, trovandosi in acqua, spesso si affonda, in quanto, specie in laghi e fiumi, non essendo l’acqua salata, non aiuta a sorreggere il corpo, e si finisce per annegare.

    Se si conoscessero i sintomi dell’idrocuzione, come ronzii alle orecchie, nausea, senso di freddo improvviso, riduzione del campo visivo e affaticamento, si potrebbero salvare molte più persone. Purtroppo l’idrocuzione è infida: può essere rapida e completamente asintomatica. Quindi conviene sempre bagnarsi con calma e gradualmente per evitare qualsiasi rischio.

    Brutta cosa, che nel 2019 non venga fatta informazione. Si salverebbe qualche vita. La parola “shutdown” è forse adatta ai sistemi Unix, per spegnere o riavviare un computer, ma non per il cervello, e tantomeno per uno sbalzo termico. Avete mai visto i tentati suicidi nelle Spa? Come no! è pieno di persone che sperano di morire, passando dalle saune all’acqua fredda, ma quando scoprono che non muoiono, rivogliono il prezzo del biglietto.

    Comunque, anche in questo articolo, una possibile causa di annegamento, incredibilmente, non è attribuita alla congestione, ma all’idrocuzione. Cos’è l’idrocuzione? O meglio cosa si intendeva per idrocuzione? Per inquadrarla basta ricorrere ai libri di medicina di 20 anni fa, in cui era definita come una sincope (svenimento) da immersione rapida in acqua fredda che poteva portare anche a arresto cardiorespiratorio o annegamento. Questo termine è ancora possibile trovarlo in alcuni testi, nei vocabolari e negli articoli nostalgici, come quelli che girano in questi giorni.

    L’ipotetico meccanismo che condurrebbe all’idrocuzione sarebbe legato alla “vasocostrizione da immersione in acqua fredda, che provocherebbe dei riflessi (ma nessuno dice quali) a livello del tronco dell’encefalo che condurrebbero ad arresto cardiorespiratorio”. In altri poco saggi testi l’idrocuzione è affiancata a una più moderna fantasia, definita shock termico, ma questo tipo di shock non esiste in medicina, mentre è piuttosto utilizzato dagli idraulici per stabilizzare i riscaldamenti a pavimento delle case.

    E ora veniamo ai sintomi, che ci rivela anche l’Agenzia nazionale per la prevenzione dell’idrocuzione: ronzii alle orecchie, nausea, senso di freddo improvviso, riduzione del campo visivo e affaticamento. Sintomi, aggiungo io, che tutti noi abbiamo provato nella vita in caso di abbassamento della pressione, che come tutti sappiamo (noi che studiamo l’idrodinamica) non possono avvenire in acqua perché la pressione idrostatica non lo consente.

    Quello che succede realmente è definito nel termine shock da freddo (cold shock), affinché possa essere innescato tramite attivazione de nervo trigemino, l’immersione deve essere accidentale, avvenire di faccia e l’acqua deve essere al di sotto dei 10 gradi, anche se è più inducibile in acque con temperature al di sotto dei 5, ma non è mai stato correlato a elevate temperature corporee e ambientali.

    Di seguito gli studi per chi volesse approfondire: “Tipton MJ (1989) The initial responses to cold water immersion in man. Clin Sci 77:581-588”; “Tipton MJ, Eglin C, Gennser M et al (1999) Immersion deaths and deterioration in swimming performance in cold water. Lancet 54:626-629”; Gilbert M (2000) “Resuscitation from accidental hypothermia” Lancet Jan 29; 335 (9201):375-6; Golden F, Tipton M (2002) Essentials of sea survival. Human Kinetics, Champaign”; “Mantoni T, Rasmussen JH, Belhage B, Pott FC (2008) Voluntary respiratory control and cerebral blood flow velocity upon ice-water immersion. Aviat Space Environ Med 79:765-768”.

    Invece, per chi volesse scervellarsi nella fisiologia, una recente teoria propone che le interazioni tra la bradicardia mediata sia dal sistema parasimpatico, sia dalla risposta all’immersione e la vasocostrizione mediata, sia dal simpatico, sia dal cold shock conducano alla co-attivazione autonomica aritmogena del cuore: la risposta all’immersione tenta di rallentare il cuore nello stesso momento in cui la risposta al cold shock innesca una tachicardia mediata da simpatico. Questa stimolazione casuale del cuore da parte di entrambe le divisioni del sistema nervoso autonomo è stata definita “conflitto autonomico”, poiché ci sono stimoli cardiaci cronotropici contrastanti, positivi e negativi. Ma, affinché avvenga, occorre l’acqua fredda (i gradi, ormai, li sapete già).

    Per gli approfondimenti di seguito i riferimenti: “Shattock MJ, Tipton MJ (2012) ‘Autonomic conflict’: a different way to die during cold water immersion? J Physiol 590:3219-3230”.
     
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