La storia del Comandante Salvatore Todaro

il comandante Todaro, dopo aver intercettato e affondato il piroscafo “Kabalo”, porta in salvo alle Azzorre i 26 nemici superstiti

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    Nel luglio 1940 sommergibili italiani erano stati trasferiti nell’Atlantico a sostegno degli U-boote tedeschi. Inferiori come mezzi e addestramento i nostri sommergibilisti ottennero inizialmente scarsi successi, salvo poi progressivamente migliorare fino a raggiungere, nel 1942, il livello tedesco. Ma la storia che qui si racconta accadde nell’ottobre del 1940. Il comandante Todaro intercetta il piroscafo belga “Kabalo” e ingaggia un duello al cannone. Alla terza salva gli artiglieri del “Cappellini” danneggiano gravemente la nave. Todaro fa anche lanciare tre siluri, ma questi non esplodono. Per evitare uno spreco ulteriore affonda la nave a cannonate. Fin qui l’azione di guerra. Dall’affondamento si salvano 26 uomini d’equipaggio su una scialuppa, ma la loro sorte è segnata. Abbandonati in mezzo all’Atlantico sono condannati a morire. Todaro, valutati i rischi, prende a rimorchio la lancia di salvataggio e la traina verso le Azzorre e non solo. Quando il mare in burrasca distrugge l’imbarcazione, fa salire i naufraghi sul sommergibile e li deposita il 19 ottobre 1940 sull’isola di Santa Maria delle Azzorre.

    Al momento dei saluti il secondo ufficiale del “Kabalo” si rivolge a Todaro: “Ho dimenticato di dirle che ho quattro bambini: se non vuole dirmi il suo nome per soddisfazione personale, accetti di dirmelo perché i miei bambini possano ricordarla nelle loro preghiere”. “Dica ai suoi bambini – fu la risposta – di ricordare nelle loro preghiere Salvatore Todaro”. Nel novembre 1940 giunge al ministero della Marina una lettera anonima da Lisbona, scritta in francese e rivolta a Todaro con il seguente testo: “Fortunato il paese che ha dei figli come voi. I nostri giornali danno il resoconto del vostro comportamento verso l’equipaggio di una nave che il dovere vi ha costretto a silurare. Esiste un eroismo barbaro ed un altro davanti al quale l’anima si mette in ginocchio: questo è il vostro. Siate benedetto per la vostra bontà che fa di voi un eroe non solo dell’Italia ma dell’umanità”.

    In realtà il gesto di Todaro non fu molto apprezzato dai superiori. L’ammiraglio Parona, diretto superiore del capitano messinese, rimproverò i rischi corsi per salvare i naufraghi, pur riconoscendo le doti di aggressività e intraprendenza messe in mostra. L’ammiraglio Doenitz fu più secco: “Vi prego di ricordare ai vostri ufficiali – disse ai colleghi italiani – che questa è una guerra e non una crociata missionaria. Il signor Todaro è un bravo comandante, ma non può fare il don Chisciotte del mare”. Ma ben più famosa è la risposta di Todaro quando gli venne riferito l’appunto: “Gli altri non hanno, come me, duemila anni di civiltà sulle spalle”. Parole da scolpire nella pietra e nella testa di ognuno di noi, ricordando quale privilegio sia l’essere italiani.
     
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