La Russia sta deportando ucraini e nessuno ne parla

Tra 900mila e 1,6 milioni di donne, uomini e bambini accusati di aver collaborato con la resistenza

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    «Le autorità russe devono rilasciare le persone detenute e consentire ai cittadini ucraini deportati con la forza, o costretti a lasciare il loro Paese, la possibilità di tornare a casa il più presto possibile e in sicurezza. Chiediamo alla Russia di fornire a osservatori indipendenti esterni l’accesso alle cosiddette strutture di filtraggio e alle aree di trasferimento forzato in Russia». Il messaggio è firmato dal segretario di Stato americano Antony J. Blinken, in una dichiarazione che si può leggere sul sito del Dipartimento di Stato degli Stati Uniti.

    Secondo stime provenienti da diverse fonti, compreso lo stesso governo russo, le autorità di Mosca hanno interrogato, detenuto o espulso con la forza un gran numero di cittadini ucraini, si pensa tra i 900mila e gli 1,6 milioni. Tra loro ci sarebbero anche 260mila bambini. Persone estromesse dalle loro case e deportate in Russia, spesso in regioni isolate dell’Estremo Oriente.

    Le deportazioni della popolazione ucraina sarebbero operazioni premeditate, studiate e già testate, paragonabili ad altre già messe in atto dal Cremlino in Cecenia e in altre regioni, secondo il Dipartimento di Stato americano, che dice di aver identificato 18 campi di filtraggio allestiti lungo il confine.

    «Le decisioni del presidente Putin stanno separando famiglie, confiscando passaporti ucraini e rilasciando passaporti russi nell’apparente sforzo di cambiare la composizione demografica di parti dell’Ucraina», scrive Blinken.

    Il Segretario di Stato americano ha descritto i trasferimenti come «una grave violazione della Quarta Convenzione di Ginevra sulla protezione dei civili» e «un crimine di guerra». Ma la stessa Russia ha riconosciuto che 1,5 milioni di ucraini si trovano ora sul suo territorio, dicendo però che sono stati evacuati per questioni di sicurezza. Mosca nega di aver costretto gli ucraini a lasciare le loro case e dice di fornire assistenza umanitaria e passaggio sicuro alle persone che vogliono lasciare il Paese: li avrebbero allontanati di migliaia di chilometri dalle loro case, nella nazione che ha attaccato la loro, per salvarli.

    Già lo scorso marzo, il ministro degli Esteri britannico Liz Truss aveva denunciato il «rapimento e la deportazione» di ucraini dalla città assediata di Mariupol, paragonando le operazioni dell’armata russa a quelle della Germania nazista.

    Ad aprile, la vicepresidente del Parlamento europeo Pina Picierno aveva fatto lo stesso: «Le notizie che giungono dall’inferno ucraino riportano di centinaia di cittadini deportati in territorio russo, mentre la lista dei crimini contro l’umanità si allunga giorno dopo giorno. Scene di distruzione e termini orribili che pensavamo di aver rimosso dal nostro linguaggio e rilegato nelle pagine più buie della Storia».

    L’Economist ha offerto una prospettiva su questa vicenda partendo dal caso di un fornaio di Bucha di nome Matviy. «Quando lo scorso marzo è iniziato l’assalto al sobborgo poco distante da Kyjiv, in cui è stato perpetrato un massacro, Matviy è rimasto ad aiutare i suoi vicini. Il 18 marzo i soldati russi hanno fatto irruzione nella sua casa e lo hanno portato via. La polizia, i pubblici ministeri e le organizzazioni per i diritti umani dell’Ucraina non sono stati in grado di aiutare», scrive l’Economist.

    Ma Bucha è solo la punta dell’iceberg. I numeri delle deportazioni sono altissimi e comprendono attivisti, giornalisti e operatori umanitari. I giornalisti Serhey Tsyhipa e Oleh Baturin, ad esempio, sono stati sequestrati il 12 marzo mentre riferivano di atrocità commesse dalle forze russe. E Tsyhipa dopo giorni è apparso sulla tv di Stato russa con un aspetto malmesso e in cattive condizioni di salute, ripetendo qualcosa impostagli dalla propaganda del Cremlino.

    Il 21 aprile scorso 308 rifugiati provenienti da Mariupol sono arrivati a Nachodka, una città dell’estremo oriente russo, poco distante da Vladivostok, di fronte al Giappone. Come riportava Meduza in quei giorni, prima del loro arrivo, il governo regionale ha riferito che c’erano più di 1.700 posti di lavoro vacanti per i rifugiati di Mariupol in più di 200 organizzazioni. Una settimana prima dell’arrivo dei rifugiati, l’ufficio stampa del ministero per lo Sviluppo dell’estremo oriente e dell’artico russo aveva annunciato che c’erano ben 62mila posti vacanti elencati nel database del Servizio per l’impiego di Primorsky e che gli specialisti stavano già offrendo lavoro ai rifugiati. Ma una fonte a conoscenza della situazione aveva detto che la maggior parte dei rifugiati provenienti da Mariupol non è riuscita a trovare lavoro.

    «Le sparizioni in Ucraina non sono una storia nuova», si legge sull’Economist, facendo riferimento a operazioni codificate ben prima dell’invasione del 24 febbraio. «Tra il 2014 e il 2021 sono scomparse oltre 2mila persone: erano implicate sia le forze filo-russe che i servizi di sicurezza ucraini. La Russia ha dispiegato queste tattiche terroristiche per decenni. Dopo aver annesso la Crimea nel 2014, attivisti tartari di Crimea e leader della comunità sono scomparsi a frotte. Durante le due guerre russe in Cecenia negli anni ’90, le sparizioni erano così diffuse che Human Rights Watch le aveva denunciate come crimine contro l’umanità».

    Alcuni deportati fuggiti da questi cosiddetti “campi di filtraggio” hanno parlato con il New York Times e altri organi di stampa fornendo descrizioni e resoconti di interrogatori, percosse e torture riservate agli ucraini, specialmente a chi ha legami con le forze armate del Paese: chi ha combattuto con l’Ucraina o ha legami con il reggimento Azov viene separato dagli altri e spesso scompare per sempre.

    Diversi funzionari europei hanno denunciato l’allestimento di questi luoghi in scuole, centri sportivi e istituzioni culturali disseminati in quei territori dell’Ucraina recentemente conquistati dalle forze russe. Michael Carpenter, l’ambasciatore degli Stati Uniti all’Organizzazione per la sicurezza e la cooperazione in Europa (Osce), lo scorso maggio aveva parlato di «interrogatori brutali» e denunciato deportazioni nell’ordine di almeno decine di migliaia di persone.

    Le famiglie spezzate dalla brutalità dei metodi russi stanno facendo di tutto per riavere indietro i propri cari. Kyjiv riesce a far molto poco in merito, le istituzioni internazionali ancora non hanno trovato il modo di fermare le operazioni. La denuncia di Blinken della settimana scorsa non era la prima né sarà l’ultima su questo tema. Ma al momento la risposta occidentale a questa forma di offensiva criminale è ancora troppo debole.
     
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