Arrestato in bielorussia Alexey, il papà della 12enne no-war

L’hanno seguito i servizi del lacchè di Putin Lukashenko

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    Forse, a tradirlo è stato proprio il momento in cui ha acceso il telefonino per chiamare il suo avvocato, Dmitriy Zakhvatov, e dirgli che aveva ricevuto una lettera tenerissima dalla figlia, Masha, e per chiedergli di pubblicarla. Fino a questa notte Aleksey Moskalev, papà di di Masha Moskaleva - la 12enne russa internata in una “struttura di riabilitazione” in Russia per aver esposto un cartello contro la guerra - era solo condannato a due anni in sua vece per «discredito delle forze armate», ma era in fuga. Era riuscito a scappare dai mostri. Stanotte questa speranza è finita. Secondo Sota, Aleksey è stato individuato a Minsk e è stato arrestato. Per ora è tenuto in un appartamento, ma non appare per nulla rassicurante passare dalle mani dell’apparato concentrazionario di Putin a quello del suo fantoccio Lukashenko.
    Proprio ieri c’era stato un momento commovente in questa storia, la figlia di Moskalev, Masha, che adesso si trova in un orfanotrofio, aveva scritto una lettera pubblica a suo padre, chiamandolo «mio eroe»: «Ciao papà, ti chiedo di non ammalarti e di non preoccuparti. A me va tutto bene, ti amo moltissimo e so che non devi incolparti di nulla, io sono sempre dalla tua parte e tutto ciò che fai è giusto». La persecuzione di Moskalev era iniziata dopo che la ragazza di prima media aveva creato un disegno contro la guerra durante una lezione d’arte. Lo stesso direttore aveva tristemente chiamato la polizia

    La storia è disgraziata e triste, ma al tempo stesso di fondamentale importanza per il regime di Mosca, al punto che era dovuto intervenire Dmitry Peskov, il portavoce di Putin, a sostenere con i giornalisti un mucchio di allusioni, che le cose non stavano come loro pensavano, che lo stato era dovuto intervenire (con la condanna a due anni di Moskalev a Tula) perché «c’è davvero una situazione molto deplorevole per quanto riguarda l’adempimento dei doveri genitoriali e la fornitura di condizioni di vita per il bambino», aveva detto con voce caritatevole il portavoce del Cremlino. In sostanza accusavano il papà di non essere in grado di prendersi cura adeguatamente della figlia. Peskov ha affermato che in questa storia «tutto è molto più complicato, non tutto è così semplice», a ha detto ai giornalisti di chiedere informazioni «alle autorità»: «Eravamo interessati alle cause del caso. Lì, infatti, nella storia con un bambino, la questione è completamente diversa. Vi consiglio di contattare le autorità. Vi diranno quando è iniziata questa storia. È piuttosto vecchia. Non voglio e non posso entrare nei dettagli, ma lì è tutto molto più complicato, non tutto è così semplice». Liubov Sobol, una delle più famose dissidenti russe, collega di Alexey Navalny, non ha dubbi: «Peskov mente sfacciatamente nel caso contro Alexei Moskalev». Non solo il Cremlino lo condanna, lo separa dalla figlia e la getta in un orfanotrofio, ma con ogni probabilità lo calunnia. E questo è un altro risvolto della storia che per ora si chiude a MinsK
    Della fuga era stata investita anche la potentissima struttura di Maria Lvova Belova, la donna che è ricercata internazionale assieme a Putin per crimini e deportazione di bambini. Il capo del Comitato per la famiglia della Duma, le donne e i bambini, Nina Ostanina, si era rivolto a Lvova-Belova chiedendo al “difensore civico dei bambini” di aiutare a trasferire Masha ai parenti se suo padre era privato dei diritti dei genitori. A Lvova-Belova, accusata dalla Corte Penale internazionale di deportare bambini ucraini, viene chiesto di «prendere il controllo personale della sorte di Masha Moskaleva, partecipare all’udienza in tribunale in difesa degli interessi del bambino, adottare misure volte a garantire la possibilità di allevare la ragazza da sua madre o da altri parenti, e anche fare tutto il possibile affinché il bambino non sia lasciato senza l’attenzione dei parenti stretti». Dopo aver tolto il padre alla ragazzina, la affidano alla supervisione di Maria Lvova Belova. Probabilmente, in quel momento la bambina viene non solo presa, ma anche monitorata. Da lì, e dall’avvocato di Moskalev, si sarebbe geolocalizzato i telefono del papà al confine bielorusso. Dove di fatto già sarebbe stato nelle mani delle guardie di Lukashenko, lieto di offrire un piccolo dono al Cremlino, comunque meno gravoso del dispiegamento delle mal preparate e mal attrezzate truppe bielorusse contro l’Ucraina.
     
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