Ucraina, i rom entrano nell'esercito e sfidano i pregiudizi

Catturiamo un tank russo? Sui social scrivono: l’avrete rubato...!

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    Gli invisibili che prendono le armi. Per abbattere non solo gli invasori russi ma anche le barriere che da secoli li relegavano ai margini della società ucraina. Nel calderone crudele della guerra c'è una grande storia di riscatto: quella dei rom, entrati in azione sin dalle prime ore dell'attacco.

    Il popolo senza patria ha deciso di lottare per il valore più importante, il cardine della sua identità: la libertà. "Noi abbiamo una legge non scritta e antichissima: non combattere mai, non entrare in un esercito", spiega Yaroslav Halas. "Ma qui è diverso: si tratta di un'aggressione. E credo che stiamo creando la nostra storia, di rom e di cittadini ucraini. Al fronte abbiamo issato la bandiera romaní e, quando finirà, aprirò un piccolo museo di guerra per far sapere alla gente che anche i rom hanno difeso l'Ucraina".

    Yaroslav è un giovane ufficiale della 128ª brigata d'assalto: il reparto del distretto della Transcarpazia, un tempo terra asburgica e poi cecoslovacca, dove vive la comunità rom più numerosa. La brigata si è distinta in prima linea, partecipando alla battaglia della capitale di un anno fa, per poi liberare Kherson a novembre e soffrire perdite enormi due mesi fa a Vulehdar, nel Donbass.
    Orgoglio

    Non a caso Yaroslav sottolinea l'orgoglio di essere cittadini. La maggioranza dei rom in Ucraina non sono neppure iscritti all'anagrafe. Secondo le stime, meno di 50 mila su 400 mila hanno documenti di identità che permettono loro di godere pieni diritti: per gli altri non ci sono possibilità di istruzione, cure pubbliche, lavori regolari. Invisibili, nascono e crescono in campi senza Stato e senza i minimi servizi. Questi fantasmi ovviamente non venivano chiamati per il servizio militare obbligatorio, né ai tempi dell'Urss, né in quelli dell'Ucraina.

    Come in tanti altri Paesi, per secoli hanno sopportato odio razziale e persecuzioni: l'occupazione nazista ha poi significato deportazioni nei lager e fucilazioni di massa, ripetute dall'Armata rossa. Neppure l'Unione Sovietica ha saputo sanare l'emarginazione, anche se con l'indipendenza dell'Ucraina è iniziato un momento particolarmente duro.

    Le milizie neonaziste reduci dal Donbass incitavano a colpire "gli zingari": nel 2018 il governo statunitense è intervenuto per chiedere di proteggere la minoranza, ottenendo garanzie dalle autorità di Kiev. Sono stati denunciati veri e propri pogrom, con irruzioni nei campi rom da parte di uomini con il cappuccio: emuli del Ku Klux Klan associati alla National Druzhyna, l'organizzazione fondata dai reduci della Brigata Azov che li trattavano come razza inferiore.

    C'è voluta la guerra per fargli cambiare idea. A Mariupol, un anno fa, gli Azov e i soldati Rom hanno combattuto fianco a fianco. Per il coraggio dimostrato nell'assedio, il presidente Zelensky ha decorato Viktor Ilchak: un meccanico di carri armati della 128ª Brigata che è rimasto al suo posto nonostante il braccio dilaniato dalle schegge delle cannonate. Un rom riconosciuto eroe dell'Ucraina.
    Ufficio reclutamento

    "Circa un quarto dei rom ha un membro della famiglia che si è unito alla difesa", evidenzia un sondaggio del Roma Initiatives Office dell'Open Society Foundations. "Sono al fronte nelle regioni di Kharkiv, Donetsk e Kherson. Non si sa quanti siano morti, ma il numero maggiore di vittime si registra tra i civili. Padri, figli e mariti si offrono volontari per respingere gli aggressori. Combattono nonostante le loro famiglie sfollate debbano affrontare un calvario di pregiudizi e ostacoli burocratici". Non essendo iscritti all'anagrafe, a molti di loro non è stato permesso di fuggire all'estero e quelli rimasti in Ucraina faticano ad ottenere sussidi e aiuti.

    Oleksii Mykhailovych Panchenko è di Kamianka-Dniprovska: "La mattina del 24 febbraio i russi hanno bombardato l'aeroporto vicino a casa mia". Ha tre figli: Angela, David e la più piccola Tatyana. È un camionista, abituato a viaggiare per l'Europa, ma non si poteva muovere: i tank degli invasori sono arrivati subito nel suo paese, l'ultimo prima della centrale nucleare di Zaporizhzhia. "Fino all'8 aprile non siamo riusciti a scappare, piovevano cannonate e razzi. Poi abbiamo preso le nostre cose e raggiunto le linee ucraine. Il 15 aprile, al mattino, mi sono recato all'ufficio di reclutamento: il personale era stupito, quasi scioccato dal fatto che un rom volesse arruolarsi. A mia moglie l'ho detto solo al momento di partire: "Lo faccio per i nostri figli, voglio che vivano in una Ucraina libera". Oggi come sto? Quando sei abituato a sedere allo stesso tavolo con i tuoi compagni e poi ti dicono che sono caduti... è dura".
    Come una famiglia

    Vasyl Medvyedyenko è di Kamianske, non lontano da Dnipro. Ha ventinove anni e una piccola impresa edile. Non aveva mai pensato di prendere le armi: poi ha visto le immagini di Bucha, con il fratello si è guardato negli occhi e insieme si sono presentati in caserma. "Nessuno mi chiede più se sono rom. I miei commilitoni sono una famiglia. Non penso al futuro, ma voglio davvero che tutto questo finisca il prima possibile. Il mio sogno è tornare alla vita normale, vedere i miei bambini crescere".

    Per tradizione, i ragazzi rom si sposano presto e diventano subito padri: la mobilitazione esclude dal richiamo chi ha più di tre figli. Come Mykhailo Tytychko, nome di battaglia "Baron", una delle figure più note: "Quando io e i miei otto compagni ci siamo presentati all'ufficio di arruolamento di Svaljava, il commissario ci ha accolti con diffidenza. Ci ha destinato alla 128ª brigata e anche lì erano perplessi, per usare un eufemismo: ci scrutavano con occhi spalancati e ci chiedevano perché fossimo lì. Dopo una settimana e mezzo siamo andati al fronte e i nostri compagni erano sospettosi: chiudevano le borse, nascondevano soldi e telefonini. Al primo assalto hanno capito che si potevano fidare e da allora siamo fratelli".
    Selfie in trincea

    Mykhailo viene chiamato "Baron" perché è un capo: un'autorità del campo di Svaljava, dove vivono circa duemila rom. Ha studiato, si è laureato in legge e ha fatto la leva da volontario nei parà addestrandosi con gli statunitensi. Possiede un centro commerciale e un hotel, ha addirittura fondato un'ong. "Le autorità si ricordano di noi solo prima delle elezioni" dice con sarcasmo "allora gli zingari per qualche giorno si trasformano in ucraini... Ma questa guerra ci ha unito". Lui e gli otto che lo hanno seguito sul fronte sud hanno scavato trincee nel gelo, mentre piovevano grappoli di bombe. "All'inizio tutti avevano paura, ma poi si sono abituati. Siamo diventati amici. Molti si fanno selfie con me e li mandano a casa: "Guardate, un barone zingaro combatte qui con noi!"".

    La stessa sorpresa ha accolto sui social le immagini di fine febbraio 2022: alcuni rom catturano un tank russo nei pressi di Kherson e, tra i primi, lo rimorchiano con un trattore. "I soliti ladri...", il commento più diffuso. Vederli combattere è stata per molti una sorpresa perché lo stereotipo li vuole capaci solo di prendere. "L'Ucraina sta cambiando idea" dice Ilchak, l'eroe di Mariupol "il conflitto ci ha avvicinato, e non avrei creduto potesse accadere".
     
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